La storia di Yu Bing è una storia fatta di corruzione, concorrenzialità illecita e malware. Una storia che per Yu Bing rischia di chiudersi molto male: il tribunale gli ha riconosciuto ogni addebito, indicando a sentenza la pena di morte con 2 anni di sospensione. La vicenda è stata rilanciata da poche ore sui media orientali, ma alcune fonti ne fanno risalire le origini al mese di agosto, quando la sentenza è stata pronunciata mettendo in luce una vicenda poco edificante.
Yu Bing è stato per lunghi anni a capo del cosiddetto Internet Supervisory Department, qualcosa che le istituzioni cinesi prendono molto sul serio. Operando dall’interno del Beijing City Public Security Bureau, Bing ha avuto a disposizione forti poteri e grande autorità, di cui avrebbe abusato grazie alla collaborazione con alcune aziende complici. Il caso più clamoroso accertato dalle autorità è avvenuto nel 2005 quando la Micropoint ha cercato la certificazione del proprio prodotto per poterlo spingere sul mercato locale: Yu Bing avrebbe tentato di stringere le maglie dei controlli, così da avvantaggiare un prodotto rivale (Rising Antivirus) e deviando il mercato a colpi di mazzette per un totale di 10 milioni di yuan (1,1 milioni di euro).
Ma i media cinesi si spingono anche oltre. L’antivirus suggerito da Yu Bing, infatti, sarebbe stato promosso più volte dall’Internet Supervisory Department poiché in grado di fermare un virus considerato di particolare pericolosità. La storia giunge all’apice proprio su questo punto: secondo quanto rilanciato da IT News, la stessa Rising Antivirus avrebbe infatti prodotto il virus, ricevendo poi così la relativa raccomandazione in virtù della capacità del software di fermare il pericolo.
La storia di Yu Bing giunge quindi a dar corpo alla più antica e radicata delle leggende metropolitane che circondano il mondo dell’informatica: i virus sono prodotti dagli stessi sviluppatori degli antivirus, poiché è grazie al moltiplicarsi delle infezioni che è possibile vendere gli antidoti sul mercato. Abbiamo chiesto un commento a Marco Giuliani, ricercatore Prevx, il quale sottolinea quanto il settore debba far leva tanto sulla ricerca tecnica quanto sull’etica professionale: «Ciò che è successo è assolutamente da condannare, ma fortunatamente è un caso isolato. Chi lavora nella sicurezza informatica sa di dover ricoprire un ruolo molto delicato, un ruolo che richiede prima di tutto un’etica professionale, indispensabile poiché si lavora per difendere gli utenti dai pericoli del web. Le società di sicurezza sono ciò che si può definire la polizia di internet, un ruolo critico in una società dominata dal web. E, come succede spesso nella realtà, ci sono persone che abusano delle proprie posizioni, e sono persone che vanno punite perché non hanno compreso la vera essenza del loro ruolo».