YouTube come una TV, secondo l'AgCom

YouTube come una TV, secondo l'AgCom

Tra le selva di nuovi regolamenti appena pubblicati dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), sono spuntate delle delibere che disciplinano la materia dei servizi media online. La sorpresa è che in pratica, secondo questi testi, non è più possibile distinguere il sistema radiotelevisivo da un qualunque servizio Web. Con effetti assurdi.

Il primo ad accorgersene è stato l’avvocato e blogger Guido Scorza, che da Wired ha lanciato l’allarme:

L’Autorità fa ricadere nell’ambito di applicazione della disciplina da essa dettata anche le grandi piattaforma di aggregazione dei contenuti audiovisivi prodotti dagli utenti, quali, ad esempio, YouTube, Vimeo, Dailymotion, ecc. Ma poteva l’Agcom spingersi a tanto?

Il problema, infatti, è che parificando gli UGC (user generated content) a una trasmissione televisiva, con la sola esclusione per chi ha un palinsesto settimanale inferiore alle 24 ore di video e un fatturato inferiore a centomila euro, che per ora salva Web radio e Web TV, si andrà incontro a un parossismo, per cui anche YouTube e agli altri siti di videosharing dovrebbero rispettare obblighi come la responsabilità editoriale, la rettifica, persino la fascia oraria protetta per i minori.

“Se YouTube è una TV, io sono Socrate”, ha replicato sarcasticamente Stefano Quintarelli dal suo blog, mentre Youreporter.it ha scritto che:

Siamo arrivati al paradosso che chi è preposto alla tutela delle libertà e dei diritti legati alla comunicazione interviene pesantemente per uccidere quei diritti. Ma, a nostro giudizio, una delibera dell’Agcom non può mai cancellare direttive comunitarie e leggi nazionali. E soprattutto non potrà trasformare iniziative spontanee degli utenti della rete in impresa editoriale. Questo è un assurdo giuridico e una violenza fatta alla realtà.

Google e Telecom Italia, proprietari di YouTube e DailyMotion, per ora non si sono ancora espressi, anche perché le delibere sono parecchio scivolose.

Pur in tutta questa ambiguità, sembrano salvi blogger e video maker (soprattutto nello scambio on demand dei contenuti e non in streaming): l’obiettivo vero è trasformare alcuni grandi siti in editori, per la semplice ragione per cui se c’è pubblicità e vengono usati contenuti editoriali qualcuno ci guadagna “ingiustamente”.

Un concetto che pare proprio difficile da smontare, soprattutto in Italia, nonostante siano numerose le prove che dimostrano come il Web arricchisce i proprietari di questi contenuti dato che gli utenti li rieditano rendendoli più disponibili e visibili.

Un’altra legge anti-Web impraticabile nei fatti? Probabilmente sì, ma anche un altro passo all’indietro invece che in avanti: dove stanno andando gli altri Paesi.

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