World War Z: lo smartwatch, dal polso al cinema

Abbiamo tentato di capire cosa saranno gli smartwatch indossandone uno: MetaWatch, protagonista con Brad Pitt in "World War Z" (nelle sale dal 27 giugno)
World War Z: lo smartwatch, dal polso al cinema
Abbiamo tentato di capire cosa saranno gli smartwatch indossandone uno: MetaWatch, protagonista con Brad Pitt in "World War Z" (nelle sale dal 27 giugno)

La rivoluzione degli smartwatch sta per cominciare. Non sappiamo ancora esattamente quale forma assumerà: i big del settore ancora devono svelare le proprie carte, ma una cosa sembra acclarata: lo smartphone rimarrà il cuore pulsante della connettività personale, mentre lo smartwatch ne diventerà una estensione. Ma cosa cambierà quando i consumatori avranno al polso un orologio in grado di fornire informazioni che vanno ben oltre la sola informazione oraria? Virtualmente poco, potenzialmente molto. Ma soprattutto avremo molto di più le mani libere e lo smartphone potrà rimanere molto di più in tasca.

Abbiamo voluto tentare una prima esperienza con uno smartwatch proprio in occasione dell’approdo degli smartwatch stessi al cinema. La prima assoluta è probabilmente quella di Michael Knight, quando l’auto KITT era comandata a distanza parlando attraverso l’orologio: era però una forma embrionale e fantascientifica di quel che gli smartwatch proporranno invece nel giro di pochi mesi. La scienza, in questo caso, sembra poter e voler superare l’immaginazione. L’esperimento lo abbiamo pertanto portato avanti su “MetaWatch“. Un MetaWatch particolare, poiché pensato e sviluppato in parallelo al film World War Z, che arriverà in 3D nelle sale italiane a partire dal 27 giugno (una produzione Paramount Picture e Skydance Production, diretto da Marc Forster).

MetaWatch in World War Z

Una prima occhiata all’orologio intelligente che abbiamo testato la si può dare anzitutto guardando il trailer del film, ove l’orologio appare di sfuggita al polso di Brad Pitt (“Gerry Lane”, un agente delle Nazioni Unite impegnato in una corsa contro il tempo):

http://www.youtube.com/watch?v=3uBuKvxeLoQ

La storia, tratta dall’omonimo romanzo “World War Z. La guerra mondiale degli zombie” di Max Brooks: Gerry Lane viene ingaggiato per fermare una epidemia di Zombie che ha messo improvvisamente a repentaglio la sorte del pianeta. Il personaggio interpretato da Brad Pitt dovrà combattere contro un assalto che sta decimando la popolazione mondiale rovesciando eserciti e governi in ogni dove. Un action movie nel quale si annovera anche la partecipazione di Pierfrancesco Favino e che al polso del protagonista vede un orologio intelligente proprio nel momento storico in cui gli orologi “smart” si candidano ad un ruolo di protagonisti nella storia dell’innovazione tecnologica.

MetaWatch – World War Z special edition
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Lo chiamavamo “orologio”

Eccolo, quindi, il MetaWatch: scocca in plastica, quadrante nero o argentato a seconda delle impostazioni, progettato a cavallo tra Texas e Finlandia. La sua funzione primaria è quella di fungere da estensione dello smartphone tramite una connessione Bluetooth: la connettività consente all’orologio di dialogare con lo smartphone e da quest’ultimo giungono tutti gli impulsi necessari per fornire le informazioni desiderate all’utente.

Una semplice applicazione (disponibile sia per iOS che per Android) consente di personalizzare l’interfaccia e le informazioni ivi veicolate, così che sia possibile scegliere a priori e con pochi click quali input si intendono archiviare sul quadrante. Di fatto lo smartwatch va ad evolvere quello che è un concetto arcaico quale quello dell’orologio: lo strumento, che un tempo doveva soltanto segnare lo scorrere del tempo ad uso e consumo dell’agenda mentale della persona, ora diventa un elemento in grado di offrire molte più informazioni.

La funzione rimane la medesima, insomma: portare al polso le informazioni di cui la persona abbisogna. Ma se storicamente è stato il tempo ad occupare egemonicamente lo spazio sul polso, ora vi sono altre informazioni ben più importanti a dover affiancare il semplice segnale orario: dalle notifiche di Facebook alle email in arrivo, passando per i valori del mercato azionario fino ad arrivare a qualsivoglia interazione con applicazioni di ogni tipo.

La visione che MetaWatch propone è quella di uno strumento non intelligente di per sé, ma in grado di fungere da ripetitore strumentale per l’intelligenza archiviata nello smartphone. L’orologio viene ad avere dunque un ruolo di primo piano poiché si fa simulacro dello smartphone consentendo all’utente di tenerlo in tasca o nella borsa, senza la stretta necessità di averlo in mano sempre e comunque. Il che cambia notevolmente l’esperienza d’uso mobile ricavata.

MetaWatch

L’esperienza d’uso ha restituito immediatamente note positive. Il punto di forza è nella sensazione ricavata: si ha la sensazione di poter avere continuamente sotto controllo la propria vita online, più di quanto non consenta il telefono. Il motivo è ovvio: mentre un orologio è continuamente al polso e continuamente monitorabile, più complesso è avere sempre in mano uno smartphone senza che i movimenti non siano ostacolati e senza che la sicurezza stessa del device non sia messa a repentaglio. Impossibile immaginare eventualmente Brad Pitt con uno smartphone in mano durante “World War Z”: soltanto un orologio consente di avere appresso e sempre sotto gli occhi tutte le notifiche provenienti dalle proprie identità virtuali.

La batteria dura più di quanto ci si potrebbe aspettare (alcuni giorni) e la robustezza del dispositivo sembra garantirne l’uso in ogni condizione (con tanto di promessa circa la resistenza subacquea del device). Una apposita pinzetta USB facilita il caricamento della batteria ed il forte contrasto dei caratteri sul display abilita una lettura estremamente semplificata, adatta all’immediatezza del colpo d’occhio con cui si è abituati a guardare un quadrante di un orologio.

In breve tempo lo smartwatch (in questo caso il MetaWatch) si inserisce nell’abitudine e non è difficile ipotizzare che in breve tempo possa diventare uno strumento irrinunciabile per molti: la sensazione di “potere” che consegna è qualcosa che fino ad oggi gli smartphone avevano concentrato attorno al proprio display. In più uno smartwatch ha il potere di liberare le mani ed i movimenti, consentendo all’utente di disporre di maggiori possibilità.

E trattasi di una risorsa anche per gli sviluppatori: al sito MetaWatch.com ove è possibile acquistare gli smartwatch in questione, infatti, si affianca un sito MetaWatch.org pensato per racchiudere tutte le risorse a disposizione della community dei developer interessati a costruire qualcosa in grado di far leva sulla natura peculiare del dispositivo. Un’opportunità, insomma, che va ben oltre la semplice curiosità del nuovo.

Il futuro

In futuro c’è da sperare che nessuna epidemia di zombie costringa un qualche agente segreto ad agire per difendere le sorti dell’umanità, ma sotto questo punto di vista la finzione cinematografica è quanto basta per ricavare ogni spiegazione. La contestualizzazione spettacolare dello smartwatch consente tuttavia di guardare al dispositivo con il senno del poi prima ancora che giunga ai polsi dell’utenza di massa.

Quel che manca ancora è l’immediatezza dell’esperienza, la connettività automatica, l’impostazione standard che rende fluidi ed invisibili il collegamento, la sincronizzazione e la fruizione. Quel che manca è la miniaturizzazione che consentirà di rendere più leggero e sottile il volume di ingombro dell’orologio. Quel che manca è una scelta di design originale, che sappia sì ereditare l’ergonomia tipica degli orologi, ma che sappia al tempo stesso reinventarne le linee alla luce di quel che è il concetto di smartwatch.

Portare al polso per qualche giorno uno smartwatch consente di capire realmente perché questo tipo di mercato ha del potenziale. Non sarà una cosa immediata: occorre non soltanto proporre una soluzione tecnica d’avanguardia, ma occorre anche scalfire l’immaginario collettivo costruito nei decenni attorno all’orologio da polso. L’innovazione in questo caso dovrà scontrarsi probabilmente contro un una icona sociale, un elemento proprio della moda, uno status symbol consolidato. Gli smartwatch si insinueranno sul mercato occupando quelle nicchie che meno valore attribuiscono all’orologio in sé, pronte ad abbracciare una estensione del sé virtuale invece che impreziosire con il metallo la propria immagine reale.

Un salto generazionale

Gli smartwatch introdurranno quindi un vero e proprio salto generazionale. Inizieranno probabilmente a provarli i “geek” che per primi ne intuiranno le potenzialità, ma saranno seguiti a ruota dai giovani che, pur in possesso di minor potere d’acquisto, vorranno avere al polso la propria vita sociale per accelerare al massimo la propria risposta agli input in arrivo dalla rete.

Il gesto del gomito che si piega per portare il polso sotto lo sguardo verrà ad assumere un ruolo diverso: da simbolo virile di chi non ha tempo da perdere, il movimento diventerà emblema nuovo di chi ha una moltitudine di sollecitazioni a cui rispondere. Ancora una volta il polso e la fretta andranno di pari passo, ma la metrica di riferimento non sarà più quella del tempo: notifiche invece dei secondi, alert invece dei minuti, appuntamenti d’agenda invece delle ore.

Il salto generazionale è un salto avvenuto su più fronti e che giocoforza doveva presto o tardi coinvolgere anche gli orologi. La proporzione percettiva suggerisce che gli smartphone stanno ai featured phone come gli smartwatch stanno agli orologi tradizionali. Quel che cambia è l’intelligenza avvertita, l’interazione, il coinvolgimento.

Nel film World War Z, Brad Pitt si trova ad affrontare una emergenza internazionale con le armi in pugno e con un MetaWatch al polso: nella vita di tutti i giorni un esercito di utenti si troverà ad usare le mani per scrivere, stringere mani, gesticolare ed impugnare, ma al polso ci sarà l’elemento che collegherà la rete agli occhi, e tramite questi ultimi il cervello. Il potenziamento dell’intelligenza connettiva passa anche per il miglioramento di queste sinapsi, nelle quali l’uomo si fa elemento vivo di un sistema al quale è in grado di interfacciarsi ed agire grazie agli strumenti che ha sulla scrivania, in tasca e – presto – anche al polso.

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