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Questo documento, tuttora semplicemente abbozzato, introduce di fatto una sorta di pagamento per gli standard (recommendation) promossi dal consorzio WWW. In altri termini, nei prossimi standard riconosciuti dal consorzio (ricordiamo che lo stesso HTML è uno standard), potrebbe essere introdotto il pagamento dei diritti verso quelle società che hanno contribuito e hanno visto riconosciuti i propri sforzi nell’approvazione dello standard stesso. Il pagamento dei diritti toccherà naturalmente a chi utilizzerà gli standard, utenti e grandi società.
La licenza prende il nome di RAND (Reasonable And Non-Discriminatory, ossia "giusta e non discriminatoria") e potrà essere scelta, durante la costituzione di una recommendation, alla licenza RF (Royalty Free, ossia "libera dai diritti d’autore"). Il nome RAND deriva dalla necessità di richiedere, in quei casi in cui si riterrà necessario, il pagamento di diritti giusti (ossia ragionevolmente bassi) e non discriminatori (ossia uguali per tutti) per utilizzare la licenza.
Dal W3C
Le reazioni all’annuncio sono state molte e da più parti si è paventata l’ipotesi che il modello "free", quello che ha permesso alla rete internet di bruciare come tempi di diffusione tutti i media, venga affossato dai nuovi brevetti. Nella
Ma come si è arrivati a questo punto? La prima attestazione del problema risale al 1999. Nel luglio di quell’anno fu creato il Patent Policy Working Group (PPWG), ossia il nucleo di persone che avrebbero dovuto proporre i brevetti per gli standard del Web. Le giustificazioni a questa necessità erano sostanzialmente due:
- Le numerose interruzioni ai progetti dovute a richieste di brevetti da parte di molte società implicate nella standardizzazione
- Le richieste dei nuovi membri del Consorzio WWW (Microsoft ad esempio) opposte alla filosofia di sviluppo dei primi fondatori
Allora si trattava dunque di dover modificare una situazione che stava sfuggendo di mano agli stessi fondatori del W3C. Proprio nel febbraio 1999 si pose infatti il problema di come Microsoft potesse sfruttare il proprio brevetto sui CSS (Cascading Style Sheets), e nello stesso anno il W3C si vide costretto ad affrontare un simile problema sui diritti vantati dalla Intermind su alcune strutturazioni delle specifiche P3P. Il Web stava cambiando e la cosiddetta "IP Economy" (l’economia fondata sulla Proprietà Intellettuale e sui Copyright) allungava la propria ombra sull’universalità del World Wide Web.
Dal 1999 al 2001 il gruppo di lavoro (di cui fanno parte rappresentanti di Microsoft, Apple, Hewlett-Packard, Philips, MIT) ha stilato le specifiche e le ha rese pubbliche, in sordina, il 20 Agosto, richiedendo a chiunque di commentarle pubblicamente. Il 28 settembre i
In questi ultimi due giorni si è reso sempre più chiaro che la necessità di preservare chi crea opere d’ingegno, nuovi linguaggi e nuovi formati grafici debba forzatamente essere iper dibattuta quando in gioco ci sono i principi fondanti dell’internet: esportabilità, gratuità, apertura, universalità. Principi che ne hanno consentito la crescita e la proliferazione, e che hanno altresì consentito a società come Microsoft, Adobe, Kodak ecc. di espandere il proprio "business" in tutto il mondo.
E non sembri strano allora che proprio questo tipo di società ora premono alla porta del W3C per introdurre il concetto di copyright al World Wide Web. Il filo che lega le