Vidiemme apre a San Francisco

Una società italiana apre un ufficio a San Francisco per fare scouting di tecnologie: la nuova frontiera del B2B è portare i prototipi il prima possibile.
Vidiemme apre a San Francisco
Una società italiana apre un ufficio a San Francisco per fare scouting di tecnologie: la nuova frontiera del B2B è portare i prototipi il prima possibile.

Non sono soltanto le startup a sognare la california, ma anche – e forse soprattutto – le aziende tecnologiche italiane che cercano una nuova spinta. Il caso di Vidiemme Consulting è interessante per questa ragione: dopo 11 anni di lavoro nelle tecnologie (mobili in particolare) ha aperto uno spin off a San Francisco il cui scopo è accorciare a zero la filiera dei prototipi. Contrariamente al pensiero generale, anche in Italia si fa un po’ di ricerca e sviluppo nelle aziende, che sono affamate di sperimentazione.

Ci sono gli incubatori, i programmi di affidamento, sono molte le occasioni per gli startupper e le imprese innovative di salpare verso la Silicon Valley. Il caso di VDM-Labs però è diverso, perché ha l’obiettivo di cogliere l’innovazione e le tecnologie più avanzate che nascono nella Silicon Valley per svilupparle in Italia invece che portarcele già nella loro fase di completa maturazione. Una promozione di talenti locali da entrambi i lati dell’Atlantico, unita alla possibilità di fare business concreto nelle aziende italiane. Per Giulio Caperdoni, CEO, Alan Cassini, Managing Director, e il manager Luca Valsecchi, il lab è in pratica qualcosa che gli italiani non avevano mai fatto, cioè consentire al sistema industriale italiano di testare le tecnologie appena nate, una forma avanzata di misura col mercato.

Intervista a Giulio Caperdoni

Per realizzare una piccola propaggine californiana della tua società – non quindi un programma di accelerazione, non un maker lab, ma proprio uno spin off aziendale – bisogna credere davvero ne valga la pena. D’altronde, dalla prima applicazione per iPad realizzata in Italia nel 2010, ai primi prototipi di Google Glass del 2013 con la concomitante focalizzazione sulle tecnologie wearable e di indoor, la Vidiemme ha una certa esperienza nella ricaduta positiva delle tecnologie in partnerhip con le aziende in cerca di nuovi servizi per i clienti.

Dell’idea di uno spin off in california, è molto bello l’obiettivo patriottico…

Sono d’accordo. Noi vogliamo essere là dove nascono le tecnologie per poi sviluppare progetti e soluzioni avanzate nel nostro paese. A San Francisco faremo scouting, il team a Milano lavorerà sulle intuizioni raccolte.

Com’è venuta in mente?

La Vidiemme era una società di 11 anni di vita, in crescita, che aveva bisogno di una iniziativa che le desse una nuova direzione strategica. L’abbiamo individuata partendo dai nostri stessi interessi, dal desiderio di aumentare la conoscenza delle meraviglie della tecnologia stando là, stabilmente. Soltanto dopo abbiamo riflettuto, indagato anche su eventuali esperienze simili e abbiamo capito che non l’aveva ancora fatto nessuno, non così.

Dida

Giulio Caperdoni, CEO di Vdm-Labs, appena insediata a San Francisco, e nel board di Vidiemme da giugno 2012.Tra le precedenti esperienze, Connexia e il programma europeo Youth in Action.

A San Francisco chi ci sarà e su cosa contate?

Il Vdm Labs conterà su due persone, che sfrutteranno il networking, i canali informativi che già conosciamo. Posso assicurare che il livello è impressionante, si possono raccogliere anche 20-30 eventi giornalieri, è un altro pianeta. Contiamo di abilitare queste tecnologie per i nostri clienti, come successo coi Google Glass.

Fermiamoci un momento sui discussi indossabili Google. Voi ci avete sempre creduto, ma davvero oggi si può fatturare coi Glass?

Anche noi pensavamo fosse impossibile fare business, attualmente, coi Google Glass. Dirò di più: ero personalmente presente quando Astro Teller criticò il progetto per come era stato portato avanti. In Italia abbiamo comunque diversi clienti, nella sanità e nella finanza, ad esempio abbiamo sviluppato un crm evoluto per Cedacri. Quindi la risposta è sì.

L’operatività di questo tipo di scouting tecnologico Usa-Europa è probabilmente un modello tutto da sperimentare, ma provando a fare i Nostradamus: cosa ci aspetta, seriamente, nei prossimi anni?

Ho portato da Austin, all’SXSW, una grande quantità di stimoli, ma se dovessi fare una scommessa, allora direi l’ambito del digital health. Siamo prossimi a una fase dirompente che cambierà il concetto stesso di medicina e la professione del medico.

Ambito peraltro dove wearables, IoT e Big Data la faranno da padroni.

Dalla Silicon Valley mi aspetto di portare in Italia strumenti che ci faranno passare, metaforicamente parlando, da un’istantanea a un film. Oggi si fotografa lo stato di salute di una persona, in un dato momento, e poi si adottano delle terapie basandosi su quella fotografia. Tra pochi anni gli strumenti indossabili e le applicazioni, le interfacce che vi saranno installate, consentiranno di avere dati sulla salute su base continuativa. In america sono convinti che questo aprirà le porte a una medicina personalizzata, non più standardizzata, nella quale si costituiranno archivi di conoscenze e i medici saranno somministratori della cura migliore elaborata secondo una quantità di dati inimmaginabile.

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