Quando tutto divenne relativo

Il capolavoro di Albert Einstein travalica i limiti della disciplina: la Relatività Generale è un testo che ha influenzato la cultura mondiale.
Quando tutto divenne relativo
Il capolavoro di Albert Einstein travalica i limiti della disciplina: la Relatività Generale è un testo che ha influenzato la cultura mondiale.

A un certo punto nel cuore del Novecento sui dipinti si vedevano orologi liquefatti, gemelli di età diverse, nei romanzi i punti di vista dei personaggi si moltiplicavano e facevano collassare la trama, al cinema si fantasticava di viaggi spazio-temporali. Non era una moda passeggera né gli artisti e intellettuali si erano messi d’accordo. Il motivo era un altro: il mondo aveva definitivamente scoperto la Relatività, quel concetto che Albert Einstein aveva introdotto nel 1905 e dieci anni più tardi, esattamente 100 anni fa, completò in una Teoria Generale che rappresenta per la fisica quel che la Quinta di Beethoven è per la musica.

La cultura è sempre stata influenzata da un inscindibile nesso fra casualità e innovazioni tecnologiche. Secondo molti esperti, l’Impressionismo non sarebbe mai nato senza il perfezionamento della fascetta metallica di contenimento dei pennelli, che da tondi divennero quadrati. Una forma più adatta per quel tipo di stesura del colore. Ma se i primi maestri della pittura en plein air non fossero stati, a quanto sembra, miopi, forse quello stile non sarebbe mai nato. Tecnica e casualità.

Per la teoria generale di Einstein, nata dopo dieci anni di studio soffertissimo, articoli e idee errate, era necessario qualcosa di più di una buona idea, ci voleva l’intuizione folgorante e geniale che mettesse d’accordo i principi della teoria ristretta con la legge sulla gravità, che la prima versione dello studio di Einstein non aveva risolto. Questo è il contributo della Teoria del 1915, che tocca un livello di bellezza e semplicità mai viste prima in questa materia. Come una pennellata di Monet. Pensiero, ma anche idea folgorante, nata quasi per caso. Così la descrive Carlo Rovelli nel suo libro

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Sette brevi lezioni di fisica (uno dei best seller dell’anno):

Ci sono capolavori assoluti che ci emozionano intensamente, il Requiem di Mozart, l’Odissea, la Cappella Sistina, Re Lear… Coglierne lo splendore può richiedere un percorso di apprendistato. Ma il premio è la pura bellezza. E non solo: anche l’aprirsi ai nostri occhi di uno sguardo nuovo sul mondo. La Relatività Generale, il gioiello di Albert Einstein, è uno di questi.

Relatività e relativismo

Se vista con la lente dei principi enunciati dalla teoria che compie un secolo, la cultura contemporanea assume una coerenza davvero impressionante. Negli stessi anni Pirandello pubblicava Così è se vi pare, dove l’autore siciliano portava a compimento la sua idea dell’inconoscibilità del reale e della moltiplicazione dei punti di vista. Molta drammaturgia avrebbe lavorato su questi temi nei decenni successivi, così come tutta la letteratura europea, soprattutto francese e mitteleuropea, si sarebbe esercitata molto spesso nell’applicazione della descrizione della realtà sociale e mentale facendo tesoro dei concetti importati dalla fisica: dalla più semplice idea che il tempo e lo spazio sono relativi a seconda dell’esperienza – la famosa epistemologia einsteniana, per cui qualunque contenuto teorico assume un valore nel rapporto con l’esperienza sensibile – in assenza della quale non sarebbe stato possibile per Virginia Woolf scrivere alcuni romanzi (soltanto uno dei tanti possibili esempi), fino a costruzioni molto complesse, ispirate all’immagine potente e scioccante di una realtà fisica dove le cose non precipitano ma “curvano” in un quarta dimensione inconcepibile senza uno sforzo di astrazione quasi sovrumano.

Eppure, come capita a tutte le teorie, anche quella di Einstein, col passare del tempo, è stata banalizzata fino a renderla madrina del cosiddetto “relativismo”, accusato di essere una delle ragioni della malattia spirituale dell’occidente. Ma il relativismo è figlio dello scetticismo, nipote di Protagora e reso adulto, al limite, da Wittgenstein. Per forza di cose ogni conoscenza è relativa alle esperienze sensibili per l’uomo, e su questo anche Einstein era grosso modo d’accordo, però c’è una distanza siderale tra i vari pensieri deboli moderni, dal lato filosofico (Schiller, Emerson, Deleuze), antropologico (Levi-Strauss), e Einstein (e in un certo senso anche Popper) che mai ha rinunciato all’oggettività delle sue equazioni e alla possibilità di comprendere la verità delle cose.

L’impatto di Einstein nella mentalità umana

Molta dell’influenza di Einstein nella cultura, così, non è da cercare nel postmoderno attuale o nella polemica delle religioni contro il relativismo culturale e morale, ma in un substrato globale, più popolare, quasi iconico (senza Einstein sarebbe stata possibile una serie di successo come “The big bang theory”?) e in alcune verità ormai accettate, quasi senza rendersene conto. La prima delle quali è che, per dirla coi futuristi (incredibile, sempre negli stessi anni), “lo spazio non esiste più”, è compresso dalla velocità e assume un’esistenza solo in relazione alla coscienza dell’uomo e alla sua capacità di frazionarlo, particolareggiarlo. La seconda è che il tempo ha sostituito lo spazio nella mente dell’uomo quando pensa al mistero profondo delle cose. La relatività del tempo rispetto a ciò che facciamo con esso, mentre trascorre, è una sfida continua alla nostra intelligenza.

Una metafora dell’innovazione

L’impatto di Einstein sul mondo è la dimostrazione fattiva della sua innovazione: quando l’innovazione è davvero tale, travalica il suo ambito e si fa onnicomprensiva. La sua teoria nasce da un punto di vista alternativo e fornisce una visione del mondo più completa, sconvolgendo gli assiomi precedenti e dando il via ad un nuovo modo di interpretare le cose. Una innovazione da celebrare e da approfondire, poiché non si può capire la fine del secolo e l’inizio di quello successivo se non passando attraverso lo snodo fondamentale di quel 25 novembre di cento anni fa.

Einstein filosofo, politico e pacifista

Albert Einstein non è stato peraltro solo uno scienziato brillante, ma anche un discreto filosofo e un attivista politico. I suoi scambi epistolari coi capi di stato, con Freud, con Bertrand Russel, sono celeberrimi e di rara bellezza per essere scritti da un fisico. Quando ormai si era trasferito negli Stati Uniti e la seconda guerra mondiale era conclusa con le ceneri di Hiroshima, lui che aveva tentato di scongiurare quella bomba – salvo poi accettarne l’ineludibilità per sconfiggere il nazifascismo – si dedicò dopo gli anni quaranta e per il resto della vita al pacifismo, contribuì a manifesti politici socialdemocratici e persino anarchici, non fece mai mancare il proprio sostegno pubblico ai valori della non-violenza (secondo lui il più grande politico della sua epoca era Ghandi) e del disarmo nucleare e fu acerrimo avversario della logica della rincorsa agli armamenti in funzione deterrente.


Einstein però era anche anche troppo intelligente, troppo lucido e pure poetico per aderire all’ateismo convinto solo perché un razionalista. Forse, di tutte le parole più originali dette dall’Einstein “opinionista”, quelle sulla religione e la sua visione della natura del cosmo sono le più belle. Straordinariamente solide ancora oggi a distanza di tanti anni. Vale la pena citarne almeno una, e così salutare l’anniversario della sua Teoria vedendola in ogni cosa con lo stupore di un eterno bambino curioso.

A me basta il mistero dell’eternità della vita e la vaga idea della meravigliosa struttura della realtà, insieme allo sforzo individuale per comprendere un frammento, anche il più piccino, della Ragione che si manifesta nella Natura.

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