Smau: Open Innovation e Venture nel mondo startup

Centinaia di eventi, stand e workshop alla Fiera dell'innovazione a Milano: a Smau anche il primo osservatorio sulla Open Innovation in Italia.
Smau: Open Innovation e Venture nel mondo startup
Centinaia di eventi, stand e workshop alla Fiera dell'innovazione a Milano: a Smau anche il primo osservatorio sulla Open Innovation in Italia.

A Smau hanno presentato il primo Rapporto sui modelli italiani di Open Innovation e di Corporate Venture Capital, promosso da Assolombarda, Italia Startup e Smau, in partnership con Ambrosetti e Cerved. Dopo la scorpacciata di statistiche sull’ecosistema, c’era bisogno di concentrarsi sui due aspetti tipici della maturità delle startup: il corporate venture e l’open innovation. In soldoni, gli investimenti finanziari delle imprese in imprese innovative, e l’ingresso di queste nei processi e nelle competenze delle aziende.

I dati di questo Osservatorio dimostrano come la dinamica in Italia sia già un dato di fatto, soprattutto nelle grandi imprese (60% degli investitori corporate) ma con un interesse sempre maggiore di Pmi e microimprese (431 investitori). Il 69% dei soci corporate risiede al nord e più della metà (59%) investe al di fuori della propria regione e in settori merceologici diversi dal proprio nella stragrande maggioranza dei casi. Questo significa che le analisi quanti-qualitative su imprese capitali e innovazione cominciano ad avere senso. Si stanno allineando secondo le previsioni degli ottimisti, che pur sapendo del ritardo del sistema Paese, hanno sempre considerato molto alto il potenziale dell’ecosistema startup facendo affidamento sulla creatività degli imprenditori italiani e un mercato più aggredibile.

L’aspetto interessante del rapporto sul sistema dell’innovazione italiano è che ci sono sia le statistiche che le tassonomie. I numeri attengono alla volontà di dare una prima dimensione al fenomeno del Corporate Venture Capital italiano, inteso come investimento finanziario e industriale in startup innovative italiane. Le tassonomie, soltanto apparentemente più semplici, identificano i modi di fare e le opportunità più corrette per godere dei vantaggi della open innovation. Grazie al lavoro di Cerved scopriamo che sono 34.963 le persone fisiche che hanno quote di partecipazione, diretta o indiretta fino al terzo livello, in almeno una delle 6.466 startup innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle Imprese. Gli investitori corporate sono invece 5.149, la maggior parte dei quali sotto la veste di società di capitale. Quasi la metà delle corporate che hanno investito in startup innovative operano nel campo dei servizi non finanziari (48,2%); oltre un terzo nei servizi finanziari e assicurativi (34,1%), il 5,2% nell’industria tradizionale, il 2,9% nella meccanica. Il 2,1% nella produzione di apparati hi tech. Questo significa in buona sostanza che in Italia le 71 aziende specializzate in venture capitalizzano un migliaio di startup, e quando queste sono le aziende innovative secondo i criteri del MISE si nota che fatturano di più, hanno più addetti, meno debiti.

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La seconda parte dell’Osservatorio, realizzata da The European House Ambrosetti, punta ad individuare modelli concreti e replicabili di Open Innovation per fornire una guida alle imprese che si affacciano per la prima volta in questo mondo e hanno necessità di orientarsi. Istruttivi i due schemi dedicati al posizionamento e alle strategie per i finanziamenti. Matrici che rivelano come a seconda di quanta conoscenza si ha del mercato o della tecnologia rispetto alle proprie disponibilità economiche o l’allocazione dei propri fondi si creano otto diverse combinazioni con vari gradi di opportunità e rischio.

La matrice della strategia per quanto riguarda l'open innovation.

La matrice della strategia per quanto riguarda l’open innovation. Il grado di rischio massimo, ma di più alto potenziale d’innovazione, è quello in cui l’azienda ha poca conoscenza del mercato di riferimento e pochi mezzi a disposizione. Viceversa, la situazione più confortevole è quella in cui si ha un’elevata conoscenza del mercato e abbondanti mezzi tecnologici a disposizione. Questa però è anche la condizione con minori margini di innovazione per il proprio business. Le variabili in questo caso sono il grado di confidenza che l’azienda ha rispetto al mondo dell’innovazione e l’allocazione finanziaria che l’azienda intende investire nel fare innovazione. Rispetto a queste due variabili si va da una prima situazione in cui l’azienda vuole fare Open Innovation ma non sa come muoversi, per cui è indicata una strategia passiva di “osservazione” e raccolta di idee, attraverso call for ideas, hackaton e scouting di idee ad una seconda situazione in cui l’azienda ha esperienza di innovazione ma scarse risorse e a cui si consiglia la strategia del “Fare Rete” creando network o piattaforme in cui vestire il ruolo di leader e guidare lo sviluppo di nuove idee. Il caso ad esempio di strumenti come il Crowdsourcing, l’Innovation Procurement e le Innovation Platforms. Il terzo caso è la situazione in cui l’azienda ha disponibilità di fondi, ma poca esperienza per condurre progetti di Open innovation e a cui viene proposto di trovare partner esterni, come Venture Capital a cui dare mandato per investire in startup innovative con grandi possibilità di ritorno, sia in termini di capitale che di opportunità di apertura di nuove linee di business. Infine la quarta strategia, denominata “Corri!” è quella suggerita alle aziende che hanno ampia disponibilità economica e conoscenza dei meccanismi di Open Innovation. Gli strumenti ideali per questo tipo di situazione sono i gli investimenti tramite i Corporate Venture Capital, i Corporate Accelerator e Incubator.

Chi fa open innovation

La tavola rotonda condotta alla fine della presentazione del report ha messo in fila alcuni case history di realtà che hanno avviato al proprio interno strategie di Open Innovation: Arti Grafiche Boccia, QVC, Spindox, Zucchetti. Ognuno con la sua vicenda particolare, ma è apparso chiaro come ci sia un filo comune: la semplicità di approccio solo dopo una certa esperienza sul campo. Investire in startup, infatti, è sempre complicato. Che deve fare un board quando ingloba un’azienda innovativa? Non va fatto l’errore di fermare il processo all’hackathon, ma passare a vere contrattualizzazioni. Nel caso di aziende come QVC si tratta soprattutto di innovation procurement, cioè si punta sulla capacità di vendita del prodotto dell’azienda che si mette in vetrina; per Zucchetti, invece, gruppo che ha portato l’abilità di acquisizione a livelli straordinari (14 nuove aziende acquisite soltanto nell’ultimo anno, 200 assunzioni l’anno, un dipendente su tre dedicato alla ricerca e sviluppo), open innovation significa lasciare lavorare le piccole o medie imprese acquisite, senza smontarle, anzi facendo firmare loro un contratto conservativo quinquennale: le teste pensanti restano, continuano a fare il lavoro, e non si “zucchettizzano” (copyright di Antonio Grioli).

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Il panel successivo alla presentazione dello studio promosso da Assolombarda e Italia Startup ha visto intervenire alcune aziende che hanno partecipato anche all’elaborazione delle matrici di analisi dei comportamenti possibili e più corretti. L’innovazione aziendale tramite l’acquisizione, il procurement, l’investimento o altri mezzi, è un tema cardine del presente e futuro dell’industria italiana. Nel contesto, peraltro, del piano per l’Industria 4.0 appena presentato e andrà in legge di Stabilità. Fra i punti importanti, il rafforzamento di tutti i vantaggi fiscali del 2015, e la parificazione, in stile europeo, delle detrazioni per persone fisiche e giuridiche al 30%. Il MISE ha anche messo in campo una detrazione delle perdite per le imprese quotate quando investono in aziende innovative. Secondo Mattia Corbetta, un obiettivo possibile per il 2017 sarebbe lavorare anche sulle statistiche dell’open innovation partendo proprio dalla traccia fiscale lasciata dagli incentivi alle imprese.

Il commento migliore al report presentato a Smau è quello di Mattia Corbetta, della segreteria tecnica del Ministero dello Sviluppo:

Questo tipo di lavoro, per cui mi complimento davvero, non sarebbe possibile se il MISE da quattro anni non aggiornasse ogni lunedì mattina il file excel delle startup innovative nel registro delle imprese. Da quel primo passo è nato tutto il resto, e oggi queste statistiche ci aiutano a capire il fenomeno, il suo sviluppo e anche a fare opinione, che a sua volta influenza il legislatore.

Smau 2016

Startup, Acceleratori, Incubatori, il nuovo ecosistema dell’innovazione è storicamente colonna portante di Smau sotto il governo di Pierantonio Macola. Anche in questa edizione il Gate 4 di Fiera Milano city è pieno di stand, eventi, workshop (più di 300). A Smau ci sono tutti: Assolombarda, Barcamper, Bergamo Sviluppo, Cluster Smart Communities, Cluster TAV, Comfcommercio Milano, Como NExT, Comune di Milano, Digital Magics, D-Namic, Fondazione Filarete, G2, H-Farm, Impact HUB, Intesa Sanpaolo, Invitalia, Italia Startup, Liguria | Liguria International, PoliHUB, Seed S.r.l., Regione Basilicata | Sviluppo Basilicata, Regione Calabria | Calbria Innova | Fincalabria, Regione Campania | Sviluppo Campania, Regione Emilia Romagna | Aster, Regione Marche | Progetto HIVES, Swiss Business Hub, Talent Garden Milano, Techinnova S.r.l., TIM #Wcap. Oggi si è parlato di open innovation con lo studio di Assolombarda e l’evento Italia RestartsUp, nei prossimi giorni in molte altre occasioni si terranno eventi di tutti i generi, dagli hackathon alle call, dagli workshop ai focus in plenaria o nel main stage in diretta streaming.

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