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I nonni di Mark Zuckerberg provengono da Germania e Polonia, i genitori di sua moglie sono rifugiati cinesi e vietnamiti. Sergey Brin è arrivato all’età di sei anni negli Stati Uniti come immigrato insieme ai genitori russi di origini ebraiche. Steve Jobs è stato dato in adozione appena nato a una famiglia californiana ma suo padre era uno studente immigrato siriano. Brian Chesky, Ceo di AirBnB, è figlio di immigrati russi poverissimi che hanno vissuto per anni di sussidi. Senza la tradizionale apertura americana, non tanto burocratica quanto economica, di chance, verso gli immigrati, la Silicon Valley non esisterebbe.
Non c’è forse altro luogo di tutti gli states, insieme alla colta e laica New York, ad aver sofferto maggiormente il divieto di ingresso ad immigrati e rifugiati di sette paesi – compresa la Siria, dilaniata dal conflitto – firmato dal presidente Trump. Il
NOW thousands at the White House protesting Trump's #MuslimBan and airport detentions: Let them in! pic.twitter.com/ZGMieISuSy
— Negar Mortazavi نگار مرتضوی (@NegarMortazavi) January 29, 2017
Non è però questo il punto, toccherà alla politica e alla legge americane uscirne. Quel che interessa qui è evidenziare come il tema immigrazione ha toccato un’altra volta il nervo scoperto della nuova economia spinta dalle tecnologia: è spesso stata fondata da immigrati di prima o seconda generazione, che non possono digerire certi slogan né stare a guardare mentre si impoverisce quel tipo di importazione di cervelli, di idee, sulla quale si fonda. Per questo non devono stupire appelli e vere e proprie azioni di contrasto di persone che attualmente sono ricche e popolari almeno quanto lo stesso presidente. Se non di più. Ha cominciato
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Si è fatto notare
Google cofounder Sergey Brin at SFO protest: "I'm here because I'm a refugee." (Photo from Matt Kang/Forbes) pic.twitter.com/GwhsSwDPLT
— Ryan Mac 🙃 (@RMac18) January 29, 2017
Red Hastings, fondatore di
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Airbnb is providing free housing to refugees and anyone not allowed in the US. Stayed tuned for more, contact me if urgent need for housing
— Brian Chesky (@bchesky) January 29, 2017
Anche fra coloro che lavorano a stretto contatto con l’amministrazione Trump si notano critiche.
The blanket entry ban on citizens from certain primarily Muslim countries is not the best way to address the country’s challenges
— Elon Musk (@elonmusk) January 29, 2017
E così, se venerdì mattina la Silicon Valley era ancora in gran parte collaborativa col presidente repubblicano, fiduciosi di trovare un discorso comune con la nuova amministrazione, 48 ore dopo, come scrive il NYT, "l’ottimismo ha ceduto alla rabbia e alla determinazione". Ma di fare cosa? Siamo alle solite: il mantra della globalizzazione, che ha certamente bisogno di una rinfrescata, contro l’agenda nazionalista e protezionista della nuova america. Probabilmente nessuna delle due merita di sopravvivere al giro di boa della metà del 21° secolo e quasi certamente questi sono i vagiti di una "guerra civile" dalla quale nascerà qualcosa di nuovo.
President Trump's immigration ban struck at the heart of Silicon Valley’s cherished values https://t.co/1i627j5a2r
— The New York Times (@nytimes) January 29, 2017
A questo punto sarà interessante osservare e capire come farà la Silicon Valley a collaborare con il nuovo presidente dopo questa esasperazione delle differenze (e diffidenze). Uno scontro dove su entrambe le sponde non mancano il denaro né la forza di alcune convinzioni di principio. Premesse di una battaglia dove potrebbe tacere il fioretto della diplomazia.