Sentenza choc a Varese: blogger condannata

Nel commento di un utente su un blog dedicato alle case editrici c'erano i margini per la diffamazione, ma il giudice ha incolpato solo la blogger.
Sentenza choc a Varese: blogger condannata
Nel commento di un utente su un blog dedicato alle case editrici c'erano i margini per la diffamazione, ma il giudice ha incolpato solo la blogger.

Un utente anonimo posta un commento diffamante e il tribunale condanna l’amministratore del blog. E lui soltanto. Sembra che al tribunale di Varese, dove è stata condannata in primo grado la blogger titolare di writersdream.org, siano passati invano gli ultimi dieci anni, con tanto di sentenze della Cassazione, leggi sulla privacy e disposizioni in materia di responsabilità oggettiva sul web. La vicenda rientra in pieno nello strano momento che la libertà di espressione in Rete sta vivendo in Italia.

Nel giro di pochissimi giorni una serie di eventi, scollegati tra loro, stanno assumendo il contorno di un puzzle inquietante. Prima il dibattito – tra il surreale e il superficiale – alimentato dalla presidente della Camera Laura Boldrini, rinfocolato dal suo collega Grasso e poi smentito a stretto giro di posta.

Poi, i numerosi frammenti di quella che una volta era la stella polare del web (la differenza che passa tra l’individuazione dei singoli comportamenti e la visione della Rete come un’unica entità) esplosa per ragioni difficili da comprendere, hanno alimentato casi di difesa passiva/aggressiva da parte di notevoli esponenti dell’informazione come Chicco Mentana. Abbandono subito difeso e giustificato da altri colleghi che mai erano stati così poco convincenti nell’esporre le loro tesi.

E l’elenco non è finito. Due giorni fa l’ennesimo appello di Sarzana e di sitononraggiungibile.info all’AgCom e alla politica contro una paventata delibera unilaterale sul copyright.
Infine, la sentenza di condanna (PDF) del GUP Giuseppe Battarino, che sposta le lancette dell’orologio indietro di anni rispetto al dibattito. Per quale ragione? La giovane amministratrice del blog è finita dentro una interpretazione decisamente discutibile della vecchia legge sulla stampa del 1948, che l’ha responsabilizzata rispetto al commento diffamante di un utente rivolto a una casa editrice.

Il blog sull’editoria a pagamento

Il blog è portabandiera di un movimento di opinione fortemente critico verso la pratica della pubblicazione a pagamento e permette tramite il suo spazio la condivisione di esperienze di scrittori che inviano i loro manoscritti. Il blog comprende molte sezioni, si occupa di denunciare alcuni comportamenti degli editori, promuove un’editoria alternativa, raccoglie testomonianze e recensisce libri e collane editoriali. Insomma, è un tipico blog aperto, complesso, con moderatori ma disposto a dare voce agli utenti.

Il numero di articoli, esempi, contestazioni all’interpretazione che mette in relazione il commento di un utente con la gestione di un blog è infinito. Non c’è quasi internauta che non li conosca. Sommariamente, il tribunale ha forzato l’interpretazione del blog come mezzo a stampa per poi riconoscere alla sua amministratrice (una ragazza di 22 anni) un capo di imputazione molto delicato: la responsabilità diretta della diffamazione, non potendo ovviamente imputare un concorso di colpa visto che il diffamante originario è rimasto sconosciuto. Sembra incredibile, ma nessuno l’ha cercato.

Il blog non è assimilabile a una testata. O forse sì?

Il procedimento logico col quale si è arrivati a questa sentenza è ben illustrato da un ottimo articolo di Carlo Blengino su IlPost, dove si parla di «far west nei tribunali». Ma sarebbe più correto dire in un tribunale, visto che sentenze del genere sembravano destinate a restare negli annali della giurisprudenza sul Web.

Invece, la sentenza del tribunale di Varese è in pratica la copia perfetta di quella del tribunale di Aosta del 26 maggio 2006, un reperto storico, nel quale venne assimilata per la prima volta la figura del blogger a quella del direttore responsabile di cui 596 bis c.p. Da allora, si passò alla famosa interpretazione rigida della legge del 2001 e infine all’accordo sulla questione della non-obbligatorietà della registrazione.

Nonostante la sentenza riconosca che il blog non è assimilabile, e forse proprio per questa ragione, c’è un passaggio fulminante che non mancherà di far discutere:

La disponibilità dell’amministrazione del sito internet rende l’imputata responsabile di tutti i contenuti di esso accessibili dalla Rete, sia quelli inseriti da lei stessa, sia quelli inseriti da utenti.

Questo passaggio è decisamente discutibile, e antiquato. Concetto già corretto e smentito più volte. Com’è possibile che nel 2013 si arrivi ancora a questi punti? Certamente l’appello, già anticipato dall’avvocato della blogger, potrà fare chiarezza e restituire le responsabilità a chi le ha. È molto grave che si arrivi al paradosso per cui, siccome a un blogger non può essere imputata la responsabilità di un mancato controllo (non essendo giornalista), gli si imputa direttamente il fatto.

Il clima politico influenza il dibattito e i tribunali?

C’è qualcosa che non va in questo paese, ultimamente. Come se il clima politico bipartisan avesse rafforzato, per somma, le posizioni più retrograde invece di esaltare per moltiplicazione quelle più lungimiranti. Il dibattito è tornato ad essere scoraggiante, tanto da costringere la sempre attenta Arianna Ciccone a un ironico manuale for dummies, dedicato a coloro che vogliono fermare i troll del web senza che si ammazzino i social network.

Molto utile, peraltro, sarebbe vedersi l’ottimo panel su questo argomento ospitato soltanto pochi giorni fa al festival di Perugia, dove – ironia della sorte – veniva esclusa dagli esperti la possibilità di una condanna ai blogger per reati di diffamazione commessi nei forum e nei commenti.

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