La Russia vuole i server di Google e Skype

Il pacchetto di riforme prevede che i server di dati sui cittadini russi siano disponibili per sei mesi nel paese. Gmail, Skype, rischiano l'esclusione.
La Russia vuole i server di Google e Skype
Il pacchetto di riforme prevede che i server di dati sui cittadini russi siano disponibili per sei mesi nel paese. Gmail, Skype, rischiano l'esclusione.

Gmail, Skype e tutti i servizi cloud globali rischiano di essere espulsi dalla Russia se non accetteranno di essere nazionalizzati. È previsto dal pacchetto di riforme antiterrorismo approvato da Mosca. C’era una volta lo scandalo Datagate e la necessità di riprendere il controllo dei propri dati. Peccato però che con questa giustificazione è facile anche per paesi come la Russia mettere mano ai dati e agli account dei cittadini, magari per inibirli.

La notizia data da Lenta.ru è di quelle ampiamente previste, se si considera quanto raccontato soltanto ieri con il caso VKontakte e il giovane founder Pavel Durov scappato dal paese con l’intenzione di non tornarci più. La Russia di Putin sembra aver deciso di stringere molte viti sulla libertà di espressione su Internet, col pretesto – la NSA fa scuola – del contrasto al terrorismo. Contrariamente alle sofisticate tecnologie angloamericane, però, la Russia va dritta al cuore della questione stabilendo chi conserva i dati e dove. La risposta (sul suolo nazionale per un tempo ragionevole) sarebbe, almeno teoricamente, accettabile dal punto di vista europeo visto che si tratta di una proposta simile a quella di Angela Merkel. Diventa inquietante quando invece a proporla è un politico come Vladimir Putin, a ridosso di una guerra civile con l’Ucraina per la Crimea e già autore di diverse iniziative restrittive sulla libertà di espressione.

Cosa prevede la norma

Il pacchetto di regole appena approvate dalla Duma, uscite dal Cremlino dopo gli attentati di Volvograd, prevede in sostanza una serie di obblighi, come l’installazione dei server sul suolo nazionale e la conservazione dei dati cloud per sei mesi, che portano tutti ad un’unica soluzione: costringere i cloud provider a trasferire i propri data center in terra russa. Obiettivo ufficiale, controllare i dati per la sicurezza nazionale; obiettivo non dichiarato: essere in grado di bloccare qualunque cosa non sia gradita al governo, senza incappare nell’effetto Turchia, dove la popolazione impara col tempo ad utilizzare i cambi di DNS e altri trucchi per navigare comunque sul web.


Dato che la Russia non ha giurisdizione, ha trovato un escamotage per obbligare le web company a trasferire i propri data center: ha mascherato la legge da progetto di attrazione degli investimenti stranieri. Sottotraccia è però evidente il messaggio alle multinazionali: se non accettate, possiamo bloccare i servizi in nome della legge antiterrorismo. Gmail, Skype, Microsoft, sono avvisati. E l’argomento secondo il quale la moltiplicazione dei data center delle web company non è buona idea per smantellare la sorveglianza globale, ha guadagnato terreno.

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