Privacy in Facebook: la Columbia la distrugge

Secondo uno studio dell'Università newyorchese, il sistema di protezione della privacy su Facebook è completamente errato: il 100% degli studenti condivide informazioni senza saperlo.
Privacy in Facebook: la Columbia la distrugge
Secondo uno studio dell'Università newyorchese, il sistema di protezione della privacy su Facebook è completamente errato: il 100% degli studenti condivide informazioni senza saperlo.

La questione della protezione dei dati personali su Facebook non passa mai di moda, anche se non è ancora chiaro se il motivo è perché non c’è intenzione di risolverla oppure perché una soluzione definitiva non c’è. L’ultimo giudizio, poco lusinghiero, viene dalla Columbia University.

La ricerca ha tracciato l’utilizzo di Facebook di 65 studenti del prestigioso ateneo di New York, di età compresa fra i 18 e i 25 anni. Un campione che dovrebbe essere particolarmente rappresentativo di coloro che utilizzano profondamente e al meglio i social network.

Sta di fatto, però, che il primo dato emerso dalla ricerca è quasi sconcertante: il 100 per cento di questi studenti condivideva informazioni personali che ha sostenuto di non condividere. In altri termini, non c’era un solo studente che fosse realmente informato su quanto andava condividendo.

Il dato paradossale è che lo studio ha anche dimostrato come il 95% di loro ha finito per oscurare dati che pensava di aver reso pubblici, ovvero il caso contrario. Una confusione totale.

Attenzione, però: i ricercatori hanno anche descritto l’atteggiamento di questi studenti, i quali si dicono interessati alla presenza delle info personali sui social network, ma hanno un concetto di privacy oggettivamente più elastico: quando gli è stato chiesto a cosa servisse la privacy, la metà di loro ha risposto “per proteggere la reputazione”, il 38 per cento ha detto che è necessaria per proteggere il furto di identità e le truffe economiche e solo il 12 per cento ha indicato minacce alla loro sicurezza.

Interessante anche la reazione di questi studenti rispetto agli sforzi di Big F di migliorare i settaggi o renderli più semplici, oppure della pubblicità negativa creata da alcuni scandali: due terzi di loro ha detto di aver controllato le impostazioni del loro profilo, ma anche di averle lasciate così com’erano.

Lo studio conclude con un appello all’azienda di Mark Zuckerberg:

“Facebook dovrebbe consentire agli utenti di nascondere specifiche categorie di informazioni. Ad esempio, nel caso di Facebook Places, se un utente vuole nascondere le informazioni relative al consumo di alcol è ragionevole concludere che tutti i check-in in un bar dovrebbero essere nascoste.”

L’ultimo suggerimento è quello di utilizzare algoritmi meno primitivi: approcci più avanzati come l’elaborazione di motori di ricerca del linguaggio naturale, o tecniche di analisi dell’immagine, potrebbero aiutare in futuro il social network a rendere più intuitiva la configurazione delle impostazioni.

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