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L’Italia è da sempre la seconda manifattura d’Europa e ha una tradizione industriale fra le più gloriose a livello mondiale. Tuttavia senza adeguarsi alle nuove tecnologie tutto ciò è destinato a diventare una targhetta da museo. Per questo il governo Renzi ha varato un Piano per la cosiddetta Industry 4.0, la definizione che si dà a ciò che in Italia, per il momento, è stato impossibile vedere, dato che metà delle nostre aziende non investe mai in tecnologia.
Il Piano Nazionale Industria 4.0 (
#pianoindustria4.0 e'patto di fiducia con imprese con direttrice chiara:investimenti in innovazione e produttività pic.twitter.com/6qaTJ4kgdb
— Carlo Calenda (@CarloCalenda) September 22, 2016
Il Piano
IL MISE ha fatto un ottimo lavoro nella elencazione e descrizione dei punti sui quali si deve scommettere, a partire dalle tecnologie abilitanti e i modelli ai quali ci si può ispirare. Il piano è tipicamente italiano, cioè prevede una cabina di regia a livello governativo dove insieme ai ministeri coinvolti siedono i politecnici (Milano, Torino e Bari) e la Sant’Anna di Pisa, i centri di ricerca, le associazioni di categoria e i sindacati; consapevoli del fatto che il sistema industriale è molto spesso semi-industriale perché basato sulle piccole e medie imprese, che limita la presenza e il peso dei grandi player nei processi decisionali, si è pensato che l’unico modo di guidare il Paese verso questa industria 4.0 sia orientare in modo neutrale una governance pubblico/privato. Lo Stato, da parte sua, cercherà di assicurare sempre più banda larga (si vuole copertura totale a 30 mbps nelle aziende entro quattro anni e il 50% delle aziende a 100 mbps), criteri di interoperabilità degli IoT e un paio di miliardi nel Fondo di Garanzia e nei contratti di sviluppo territoriale.
Oggi al Mise prima riunione della Cabina di Regia del #pianoindustria4.0 #investimenti #produttività #innovazione pic.twitter.com/qtbwIs1zhc
— MIMIT (@mimit_gov) September 21, 2016

Le tecnologie abilitanti l’Industry 4.0. I benefici attesi dalla loro applicazione sono maggiori flessibilità, velocità e (tallone d’Achille italiano da almeno vent’anni) produttività. I principali programmi di questi tipo nel mondo sono quelli degli Usa, in Francia e in Germania. L’Italia cerca una via di mezzo tra ultimi due, quello molto statale dei cugini d’oltralpe e quello che coinvolge i player tecnologici scelto dai tedeschi.
Il superammortamento
Se ne è parlato anche all’ultimo evento ENI, WeMake: quanto si può usare la leva dell’ammortamento per introdurre tecnologia nelle imprese? Attualmente l’ammortamento è del 140% ma si vuole portarlo al 250%, cioè lo Stato agevola molto l’acquisto di soluzioni avanzate e in più aggiunge un credito d’imposta per Ricerca e Sviluppo fino a 20 milioni di euro, detrazioni fiscali fino al 30% per investimenti fino a un milione di euro nelle startup e pmi innovative, altri fondi dedicati alla brevettazione e al co-matching con startup industry 4.0. Ovviamente l’obiettivo è recuperare terreno rispetto agli altri Paesi facendo diventare l’Italia quello col più alto tasso di investimento early stage.
Il superammortamento ha fatto molto discutere i commentatori economici: è utile o dannoso? Secondo alcuni dovrebbe essere più alto – e il governo sembra essersene convinto – secondo altri è stato male utilizzato e come al solito alcuni ne hanno approfittato per comprarsi l’auto da intestare all’azienda. Il Piano I4.0 arriva a un "iperammortamento", per cui se ad esempio un’azienda acquista un robot da un milione di euro la riduzione delle tasse in 5 anni arriva a 360 mila euro.

L’intervento del presidente del Consiglio Matteo Renzi alla presentazione del Piano nazionale Industria 4.0.
Funzionerà?
Questo piano da qui al 2020 è certamente ambizioso, ma soprattutto dopo anni, anzi decenni, finalmente si torna a parlare di piani industriali in questo Paese. Tolti i fronzoli delle campagne di comunicazione, i roadshow e tutto il resto, c’è un impegno pubblico di incentivazione dell’acquisto di tecnologia considerata strategica, ed è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno. È molto importante, tra l’altro, che da nessuna parte si vada a parlare dell’impatto occupazionale, che è tema differente. È ovvio che la robotizzazione può, come anni fa la meccanizzazione, diminuire la forza di lavoro umana, ma non è il ragionamento giusto per chi deve prima di tutto pensare alla produttività e alla presenza dell’Italia sui mercati. L’innovazione è un strada segnata ma si può guidare (se ne parlerà anche al prossimo Festival di Pisa), quello che non si può fare è restare un’altra volta immobili, conservativi. A tutto svantaggio degli stessi lavoratori, sempre meno alfabetizzati sulle nuove tecnologie.
Che funzioni non è detto, però. Si aprono tante sfide. C’è quella di coordinamento e controllo del denaro dei contribuenti utilizzato, e poi c’è quella della conoscenza: fino ad oggi gran parte delle aziende italiane, cioè le pmi, non hanno comprato tecnologia e quelle che lo hanno fatto le hanno utilizzate poco e male, o addirittura sono fallite. Portare un sistema tradizionalmente analfabeta tecnologicamente e molto frammentato a un mondo fatto di interconnessione, deep learning, Big Data, cloud, IoT, non è una passeggiata.