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Violare le condizioni d’uso di un sito web non può essere considerato a tutti gli effetti un crimine federale. Sembra essere partito da questo assunto il magistrato che ha da poco fatto decadere le accuse nei confronti di Lori Drew, la donna del Missouri che contribuì a mettere in atto una
La vicenda risale al 2006, quando Lori Drew iniziò a temere che Megan Meier, una ragazzina residente nel vicinato, potesse iniziare a parlar male di sua figlia Sara in seguito alla rottura dell’amicizia tra le due. Insieme con Sara e un’altra persona, Lori Drew decise di creare il profilo di un falso ragazzino, Josh Evans, per provare le cattive intenzioni di Megan. Con la falsa identità creata su MySpace Drew entrò in confidenza con la ragazzina, facendola infine invaghire dell’inesistente Josh. Dopo alcune settimane il gioco si fece però molto più crudele: Josh/Drew iniziò a prendere sistematicamente a male parole Megan, pubblicando infine i messaggi privati che la ragazzina aveva inviato al suo amico online. La tredicenne, con una storia di stati depressivi alle spalle, piombò nuovamente in una profonda depressione dalla quale non riuscì a uscire. Nell’ottobre del 2006 si
Il caso destò molto scalpore, ma le indagini degli inquirenti dimostrarono come Lori Drew non avesse formalmente violato alcuna legge. Determinato a perseguire la donna, un procuratore generale della California – Thomas O’Brien – ottenne la giurisdizione del caso, ricordando che i server di MySpace sono materialmente ospitati nei pressi di Los Angeles. Il caso fu così trasferito dal Missouri alla California, dove O’Brien decise di puntare l’intero impianto di accusa su un principale assunto: per ordire ed effettuate la beffa nei confronti della scomparsa Megan, Lori Drew violò ripetutamente le condizioni d’uso previste dal famoso social network, compiendo di conseguenza un "accesso non autorizzato" alle risorse di MySpace, un capo d’accusa generalmente utilizzato per cracker e hacker.
Durante la fase processuale, da poco conclusa, Lori Drew si è difesa affermando di non aver mai letto i termini di servizio di MySpace, come del resto la maggior parte degli utenti del social network. Una giustificazione plausibile e supportata dall’attuale quadro normativo statunitense che prevede provvedimenti nei confronti di chi sottrae o viola i sistemi protetti online, ma non contempla azioni dirette verso chi non rispetta i termini d’uso per un servizio fornito in Rete.
Valutato l’attuale insieme di leggi, il magistrato ha sostanzialmente respinto le accuse presentate dal procuratore generale O’Brien,