Mark Zuckerberg se la prende con Donald Trump

Il capo di Facebook critica la campagna del repubblicano: la dimensione economica sta sempre più stretta a ciò che ormai somiglia più a un player politico.
Mark Zuckerberg se la prende con Donald Trump
Il capo di Facebook critica la campagna del repubblicano: la dimensione economica sta sempre più stretta a ciò che ormai somiglia più a un player politico.

“Ci vuole coraggio per scegliere la speranza invece della paura”. Chi l’ha detto? La realtà di Barack Obama? La finzione di Frank Underwood? Qualcosa che sta in mezzo: Mark Zuckerberg. Alla conferenza degli sviluppatori, ancora in corso, l’inventore di Facebook tra chatbot e altre sorprese per i prossimi dieci anni ha infilato una stoccata al candidato più antipatico alla Silicon Valley, senza nemmeno citarlo. Non ce n’era bisogno.

Il suo discorso all’F8 ieri sera è stato uno dei più importanti e più intensi della sua carriera di superstar delle web company, per sua stessa ammissione. In effetti si intuiva che per Zuck e la sua gigantesca creatura si è a un passo dalla chiusura del cerchio, anzi del cortile: con i live video, le chatbot, la realtà virtuale e l’intelligenza artificiale, il social network sposta in avanti tutti quanti e stringe ancora di più il braccio amichevole del sito attorno alle attività di più di un miliardo di persone, che resteranno immerse nell’habitat e condivideranno pensieri, opere ed opinioni dentro un sistema oliato da software capaci di rispondere agli ordini degli abitanti. Un intero mondo.

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Ma di cosa ha bisogno questo mondo? Di connessioni non di timori. Di relazioni e non di incomprensioni. Temi che sono sostanzialmente politici. Un regime uccide le libertà personali? Non saranno liberi di usare Facebook. In Europa si torna a costruire barriere? È un passo indietro rispetto all’ingresso di milioni di persone in uno stile di vita più consono. Il principale candidato dei repubblicani immagina un muro di divisione tra Stati Uniti e Messico? Questo è apertamente di ostacolo. Per questo Mark Zuckerberg prima di entrare nel dettaglio della conferenza, ha speso due minuti per un discorso che potrebbe tranquillamente essere quello di un politico.

L’incipit del suo intervento è una domanda in prima persona plurale, da manuale: perché il mondo che abbiamo costruito insieme è più importante che mai? La risposta, dopo una studiatissima pausa, è un manifesto:

Noi siamo qui per connettere tutte le persone. Per una comunità globale. Per riunire le persone. Per dare a tutti una voce.

La visione di Internet è semplice e tende ad essere sovrapposta a Menlo Park al destino di Facebook. A un certo punto afferma «Over the long run, we’re building planes and satellites to connect everyone to the Internet», quando sarebbe più corretto dire «everyone to the Facebook». Gli scambi economici e culturali grazie al web sono internazionali, l’idea di un mondo connesso si fa sempre più forte. E chi sarà mai il cattivo che vuole impedire tutto questo? Zuck non lo nomina, anzi fa riferimento a più persone, a stati e situazioni diverse. Ma Donald Trump è decisamente dietro le righe:

Girando il mondo per lavoro ho cominciato a sentire persone contrarie all’idea di un mondo connesso, voci piene di paura che chiedono di costruire muri e di creare distanze tra le persone definendole diverse. Chiedono di bloccare la libertà di espressione, fermare l’immigrazione, ridurre gli scambi economici e in alcuni casi tagliare anche l’accesso a Internet.

Qui arriva lo slogan politico perfetto:

Ci vuole coraggio per scegliere la speranza al posto della paura. Per sostenere che possiamo costruire qualcosa che sarà la migliore mai vista prima. Per questo ottimismo ci sarà sempre gente che vi definirà ingenui, ma sono questa speranza e questo ottimismo ad essere alla base di ogni importante passo in avanti.

Il messaggio alla nazione di Zuckerberg

Silicon Valley e politica

Che Facebook e in generale la Silicon Valley abbiano un cattivo rapporto con alcuni orientamenti politici in auge negli Stati Uniti è cosa nota. In particolare, Zuckerberg è molto critico verso le proposte di Trump a proposito degli immigrati: il repubblicano promette di cacciare gli irregolari, di stringere i cordoni delle risorse per l’immigrazione, basa la sua candidatura alla Casa Bianca su un’america spaventata; Zuckerberg al contrario è per una politica inclusiva, di cittadinanza, maggiormente conveniente, a sua detta (e non solo), perché dati alla mano un visto in più per un posto di lavoro in più a un cervello immigrato negli Usa e impiegato nella Silicon Valley ne crea tre per i cittadini americani.

Questo scontro tra Trump e Zuckerberg – che forse si sta già scatenando nell’opacità degli algoritmi, manovrati come una manopola di consenso, ma non lo sapremo mai – è lo scontro tra un tycoon della old economy e un trentenne della new economy. Forse la politica risponde a leggi diverse, è complessa e stratificata, ma per quanto lo sarà ancora? Da ieri è ufficialmente iniziata un’altra era, un nuovo ciclo della rete, con un ritorno a specifiche che sembravano sepolte: le dimensioni dei dispositivi e loro funzioni, i visori, le chat coi bot che mandano in soffitta le applicazioni stand alone, forse una intera pletora di startupper del delivery e altri ambiti. Sembra la rete degli anni Novanta che manda a casa quella degli anni duemila, ma a mandarla a casa sono quelli che hanno fatto i soldi proprio in questi anni. Di fronte a tutto questo, alle conseguenze nel mondo del lavoro, nella socialità, cosa pensa di fare la politica? Se il nemico è uno come Trump, la vittoria di Zuck verrebbe data a 1,1.

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