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Uno
La ricerca, condotta dalla compagnia di analisi
Sono molti i casi in cui un’azienda vende direttamente le licenze del proprio software (basti pensare al caso di Red Hat con il suo Enterprise Linux). Inoltre circa il 50% delle aziende esaminate sviluppano software proprietario da offrire come valore aggiunto alla base open source, di cui ne rappresenta un completamento. Tale percentuale scende al 40% se nel calcolo si considerano solo aziende che hanno nell’open source la loro principale vocazione.
Lo studio sfalda anche alcuni miti del mercato del codice aperto. Il principale riguarda il business del supporto a pagamento: sebbene quasi il 70% delle aziende offra dei servizi di supporto commerciale per le proprie soluzioni open source, gli incassi registrati sotto questa voce non vanno oltre l’8% del fatturato totale. La maggior parte del reddito arriva infatti attraverso la vendita diretta di soluzioni e prodotti tramite personale direttamente in contatto con le società clienti.
Tre sono le principali conclusioni a cui è giunta l’indagine:
- l’open source non è un modello di business ma piuttosto una tattica e non rappresenta un settore del mercato a sé stante;
- una volta scelta la strada dell’open source non c’è modo di tornare indietro, banalmente perché è molto difficile nascondere il codice sorgente dopo averlo reso pubblico;
- solo una minima parte degli incassi non coinvolge in qualche modo anche servizi e software proprietario.
L’analisi mostra comunque che il mercato dell’open source sia tutt’altro che semplice. Considerando le strategie di vendita, le principali fonti di incasso e i diversi modelli di licenza utilizzati dalle aziende, si arriva a ben 80 combinazioni differenti. Una situazione ulteriormente complicata dalla sfumatura sempre più sottile che esiste tra software proprietario e open source, grazie alla crescente integrazione tra i prodotti delle due filosofie e al sempre maggiore inglobamento di software open source all’interno di soluzioni proprietarie.