Dai link al flusso: l'era dello streaming

C'era una volta il link, unità granulare che univa i singoli contenuti ai singoli fruitori: entriamo ora nell'era del flusso, realtà organica e continua.
Dai link al flusso: l'era dello streaming
C'era una volta il link, unità granulare che univa i singoli contenuti ai singoli fruitori: entriamo ora nell'era del flusso, realtà organica e continua.

C’era una volta il mondo dei link: contenuti isolati, richiamati da linee testuali attivabili con un click. Ci sarà un giorno il mondo del flusso: fiumane di contenuti, nei quali immergersi con un click. Oggi siamo nel mezzo del guado: sappiamo da dove arriviamo, sappiamo dove stiamo andando, ma ignoriamo totalmente le dinamiche di questo passaggio e le conseguenze che avranno sui modelli di business. Il che genera scompiglio, timori, disordine, esperimenti, riflessioni: c’è un mondo che sta per scomparire e c’è un mondo che sta per arrivare; c’è una abnorme fetta di professionisti che dovrà capire il proprio ruolo; c’è un modello giornalistico che, già messo più volte in discussione, rischia di dover seriamente fare i conti con la nuova realtà.

Di questo si è parlato all’Internet Festival 2015 nel panel “Dal link al flusso” moderato da Michele Mezza, con ospiti del calibro di Giuseppe Granieri, Massimo Russo, Salvatore Ippolito e Mario Tedeschini-Lalli.

La riflessione sorge dal momento in cui appare ineludibile il passaggio da un mondo per molti versi rispecchiato nei “10 link blu” di Google ad un mondo nel quale «musica, video, informazione e pensiero» diventeranno parte integrante del medesimo streaming. Gran parte della riflessione è proprio interna alla parola streaming, che al suo interno racchiude due coordinate spazio-temporali fondamentali: “qui” e “ora”. L’istantaneità, la compresenza e l’interazione diretta diventano paradigmi della nuova informazione nella quale chiunque può farsi broadcaster e chiunque può scegliere un flusso nel quale immergersi per informarsi o per far passare il tempo.

Quel che è meno chiaro è come si possa avere il controllo del flusso medesimo e chi ne abbia la responsabilità. Gli editori, forse: Massimo Russo cita l’esperienza di La Stampa con il progetto AMP per una distribuzione più rapida ed efficace delle notizie su dispositivi mobile. I social network, forse: Salvatore Ippolito, country manager di Twitter Italia, mette in campo tutti gli sforzi e le opportunità che i social network sono in grado di creare quando con gli editori vengono a crearsi sinergie.

Il problema fondamentale, universalmente riconosciuto, è nel fatto che oggigiorno la sfida quotidiana è quella finalizzata alla cattura dell’attenzione. La vetrina di ogni notizia è infatti pari a circa 8 secondi: è questo il tempo entro cui è possibile catturare o meno le risorse mentali del lettore (con una stima forse addirittura in eccesso) e se non ci si riesce in questo poco tempo allora si è persa l’opportunità. Aumentando i contenuti nel flusso, però, aumenta la concorrenza e si fa spietata la guerra alla ricerca del click (e fenomeni quali il click-baiting ne sono semplice conseguenza).

Formati, paginazione, palinsesti

Giuseppe Granieri pone la domanda fondamentale: se attraverso le tracce che trovo nel mio flusso “social” posso ricostruire una notizia, perché dovrei cliccare da qualche parte per leggere la notizia stessa? Se posso avere nel flusso un ritratto cubista dell’informazione che ha attirato la mia attenzione, perché dovrei scegliere un punto di vista parziale, uno solo tra tutti? In questo gli editori potrebbero forse riflettere meglio sul significato di “reputazione“, ma questo è un altro discorso: al centro del panel v’è piuttosto una riflessione sulla struttura stessa del canale che mette in comunicazione chi produce contenuti e chi ne fruisce.

Ma la domanda rimane sostanzialmente inevasa. Come si possono focalizzare le responsabilità di un sistema, quando in realtà ogni attore del sistema stesso sta lottando per la conquista di un posto al sole? Gli equilibri tra editori, social network, applicazioni, piattaforme e qualsivoglia altro stakeholder dell’informazione online verranno stabiliti soltanto in divenire, al termine di un lungo e forse mai terminato processo evolutivo.

In tutto ciò la forma si fa sostanza: i formati degli editori cambiano, la paginazione dei social network è guidata da algoritmi intelligenti e il palinsesto dello streaming generale viene plasmato sui gusti e sui “like” della persona. Il media ultra-personale prende forma in modalità multicanale e la lotta è per la conquista degli hub che smisteranno il traffico. Perché è su questi snodi che si svilupperà lo storytelling di domani.

E poi c’è Periscope

Un rapido cambio di ospiti e il palcoscenico viene occupato da Claudio Giua, direttore di Internet Festival 2015, Fabrizio Ulisse, videomaker, e Antonio Pavolini, Business Analyst Telecom Italia. Il seme cade in questo caso poco oltre, con una riflessione sulle produzioni online in stile Periscope. Questi nuovi strumenti sono oggi in forma embrionale, strutturalmente e tecnologicamente fragili, ma con una forza potenziale prepotente in termini di significato.

Lo streaming in diretta video ha potenzialità abnormi: quello che oggi è isolato a Periscope, Merkaat, Streamago e pochi altri, presto sarà alla portata di tutti e già la sola introduzione su Facebook (anticipata da Facebook Mentions) renderà chiaro a tutti come un nuovo formato sia pronto ad inserirsi da protagonista nel flusso. Trattasi di un nuovo formato il cui linguaggio non è ancora codificato, le cui dinamiche non sono ancora chiare e le cui regole vanno ancora scritte. Sta per iniziare insomma una forte sperimentazione e la generazione Periscope ancora deve nascere. Per i creativi sarà una nuova opportunità, mentre sui modelli di business ci sarà tempo e modo: non qui, non ora, per un processo che sul “qui-ora” costruirà invece il proprio futuro.

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