Legge Stanca: una interpretazione accessibile?

A più di un anno dall'approvazione della legge Stanca (legge n. 4 2004), tra le trame della rete si riscontrano dubbi sull'interpretazione del testo.
Legge Stanca: una interpretazione accessibile?
A più di un anno dall'approvazione della legge Stanca (legge n. 4 2004), tra le trame della rete si riscontrano dubbi sull'interpretazione del testo.

In alcuni luoghi della rete è emerso che alcune scappatoie potrebbero permettere di aggirare i requisiti di accessibilità richiesti dalla legge. Il dibattito è ancora acceso tra utenti, sviluppatori e chi è interessato al disagio nel cyberspazio.

Come noto, il testo pone l’attenzione sul diritto alla fruibilità delle informazioni sui siti web della pubblica amministrazione da parte di cittadini diversamente abili. Le amministrazioni, secondo il testo, «non possono stipulare, a pena di nullità, contratti per la realizzazione e la modifica di siti INTERNET quando non è previsto che essi rispettino i requisiti di accessibilità stabiliti».
(art. 4 comma 2).

In pratica, stando a quanto si legge, sembra che l’unico contesto a cui si applica la legge è il contratto tra un ente pubblico e chi gli fornisce la costruzione o l’aggiornamento di siti internet.

Normalmente gli enti della pubblica amministrazione si servono di società esterne per la gestione dei propri siti. Queste società devono partecipare ad una gara di appalto e vincerla, dopodichè si arriva alla stipula di un contratto.

Ma c’è anche la possibilità di prevedere degli uffici preposti allo sviluppo interno ed in questo caso, data l’assenza di contratti, sembra decadere anche l’opportunità di attuare una legge che ne prevede la nullità. Le uniche direttive a cui sarebbero soggette le pagine web scritte in questo caso sono quelle dell’art. 56 del Codice dell’Amministrazione Digitale.

In più, come accade anche nei progetti software di grandi società italiane, un ente pubblico potrebbe sviluppare attraverso un progetto interno il proprio sito, delegando il lavoro a consulenti esterni e aggirando l’ostacolo del contratto di fornitura del sito internet. Con un po’ di malizia, se ciò si avverasse, sarebbe confermato anche questa volta il detto “Fatta la legge trovato l’inganno”.

L’articolo 9 però recita «L’inosservanza delle disposizioni della presente legge comporta responsabilità dirigenziale e responsabilità disciplinare». Il che significa che ci sono delle persone, all’interno della PA, che hanno la responsabilità di far applicare la legge. Che poi questo significhi far si che si ottemperi ai requisiti di accessibilità anche in caso di assenza di un contratto, non è esplicito. Sembra essere comunque una tutela.

Abbiamo cercato di vederci più chiaro. Per farlo ci siamo avvalsi dell’aiuto di Maurizio Boscarol, ideatore del sito www.usabile.it, nonché autore del libro Ecologia dei siti web il quale ribadisce che l’assenza di un contratto potrebbe essere un limite all’applicabilità della legge nel caso in cui un ente provveda lo sviluppo del sito internamente «[…] almeno nell’immediato, e finché non venga chiaramente e diversamente specificato. Questo è proprio uno dei principali punti critici della legge a detta anche di alcuni legali. Ma, anche semplicemente interpretando le frasi in italiano corrente, questo è quello che la legge dice.». Ci rassicura dicendo però che «questo punto verrà superato con l’approvazione del Codice dell’Amministrazione Digitale, che è in fase di preparazione.»

Il Codice infatti prevede, all’articolo 53 (56 nella precedente versione) che tutte le PA dovranno adeguarsi ai criteri, fra gli altri, di usabilità e accessibilità, entro due anni. Anche quelli sviluppati in proprio. Sembra però che il codice richieda ancora uno o due anni di sviluppo ed altri due per la sua applicazione, «Da un certo punto di vista», continua Maurizio Boscarol, «possiamo vedere l’effetto combinato di Legge Stanca e Codice come uno strumento che, operando su due livelli, tenta di ottenere un effetto di prospettiva, suggerendo fin da subito di fare siti accessibili.»

I tempi sembrano lunghi ma Boscarol ci invita a riflettere su come questa attesa potrebbe non essere un male. Potrebbe essere necessario infatti, alle pubbliche amministrazioni ma anche a tutti gli altri soggetti specificati dalla legge, un tempo di adeguamento non banale e che consenta anche una dilazione dei costi di aggiornamento, soprattutto per le piccole amministrazioni. Sarebbe anche interessante sapere come questi enti si stanno attrezzando per far fronte all’adeguamento.

Il nostro interlocutore pone l’attenzione anche sull’aggiornamento degli strumenti di sviluppo per il web e di gestione dei contenuti in questa direzione, con lo sguardo ad un futuro in cui «realizzare una pagina web accessibile sarà semplice come comporre una paginetta con Dreamweaver».

Tutte le opinioni che animano la discussioni su questo argomento e che abbiamo tentato di raccogliere danno testimonianza di un primo effetto positivo dell’intervento legislativo: qualcosa già si muove e crescono curiosità e sensibilità intorno al tema dell’accessibilità. E chissà che proprio il circolare di queste voci non possa essere un contributo a rendere la legge più utile laddove ce ne fosse bisogno? Rimangono comunque opinioni e previsioni che, naturalmente, saranno confermate o smentite solo col tempo e con la reale applicazione della legge, quando questa sarà ufficiale in tutte le sue parti (mancano ancora il decreto sui requisiti tecnici e l’ufficializzazione del regolamento) e comincerà ad essere interpretata giuridicamente.

Dunque non ci rimane che attendere che la legge cominci ad essere operativa e che i tools a supporto dei webmaster rendano più semplice sviluppare siti confacenti alle norme di accessibilità. L’attesa ovviamente sarà vigile e non ci faremo scappare eventuali novità sull’argomento.

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