La Fieg sfida Google: news a pagamento

Gli editori italiani si accodano a Francia e Germania: una svolta determinante. Presto le news a pagamento?
La Fieg sfida Google: news a pagamento
Gli editori italiani si accodano a Francia e Germania: una svolta determinante. Presto le news a pagamento?

Uniti per la tutela dei diritti d’autore. Così si definiscono gli editori italiani rispetto a quelli francesi e tedeschi. La FIEG (Federazione Italiana Editori Giornali) ha emanato un documento congiunto che è destinato a far esplodere anche in Italia lo scontro tra Google News e le testate giornalistiche. E sullo sfondo, una indiscrezione clamorosa: Corriere e Repubblica si apprestano a mettere un recinto a pagamento ai loro siti.

Riconoscimento economico dei profitti degli aggregatori e paywall ai principali siti di news online: è questo il futuro prossimo dell’informazione in Rete nel Belpaese? Leggendo il comunicato della FIEG sembra non esserci spazio per interpretazioni:

Gli editori italiani e francesi hanno deciso di agire di concerto, coordinando la propria azione di sensibilizzazione con quella dei colleghi tedeschi. Il tema della tutela dei contenuti editoriali e del riconoscimento agli editori di uno specifico diritto d’autore connesso alle attività di indicizzazione effettuate dai motori di ricerca diviene ora un problema urgente, comune a tre dei più grandi Paesi europei.

Le tre associazioni di categoria sciorinano i loro dati: in Italia, ogni giorno oltre 24 milioni di persone leggono in media un quotidiano; tra il 2009 e il 2011 il numero di utenti di siti web di giornali, nel giorno medio, è salito da 4 a 6 milioni di utenti, con un incremento del 50%; in Francia, il 97% dei francesi legge ogni giorno almeno un giornale (quotidiano o periodico), la stampa ha vinto il confronto con il digitale, registrando una crescita esponenziale; in Germania 47 milioni di persone di età superiore ai 14 anni leggono ogni giorno un quotidiano su carta (66,6% del totale della popolazione) e i siti internet dei quotidiani tedeschi sono visitati ogni mese da 27.7 milioni di utenti unici (39,5 % della popolazione).

Insomma, secondo la FIEG la stampa italiana non può aspettare di morire quando altri paesi, demograficamente simili, sono riusciti a salvare l’editoria con un atteggiamento meno accondiscendente – a loro parere – nei confronti del modello economico delle notizie sempre gratuite e in ogni caso.

Alla domanda su cosa pensa di questa presa di posizione, Claudio Giua, noto esperto in materia e il più convinto sostenitore della visione a favore del paid content, risponde puntando subito al cuore del problema, il convitato di pietra del comunicato: Google.

La questione, però, è sempre la stessa: Mountain View accetterà di sedersi a questo tavolo?

Secondo Giua il movimento globale che si sta formando dovrebbe convincere la società californiana a prenderne semplicemente atto:

La posizione tedesca, in particolare, è molto interessante: secondo il loro disegno di legge, che dovrebbe essere approvato entro la fine dell’anno, anche i microcontenuti, tutte le parti degli articoli sono proprietà intellettuale, perciò gli asbtract citati dagli aggregatori non ne sono esclusi. Google dovrebbe mettersi attorno a un tavolo e cominciare a discuterne: considerando la sua posizione dal punto di vista economico non vedo cosa rischi.

Gli editori italiani hanno lanciato un appello al governo perché attui le misure «necessarie alla creazione di una vera Società dell’Informazione, tra cui il riconoscimento di una adeguata remunerazione per lo sfruttamento delle opere editoriali e di una equa condivisione del valore nel mercato digitale». L’ispirazione è quindi la proposta di legge tedesca e l’iniziativa francese.

Intanto, Lettera43 apre un altro fronte, tutt’altro che casualmente legato all’odierno comunicato della federazione degli editori di giornali (tant’è che oggi sul Corriere.it campeggia un articolo sugli editori alleati «contro lo strapotere di Google»). Una indiscrezione che, se confermata, sarebbe clamorosa: Corriere e Repubblica metteranno un paywall ai loro siti da inizio 2013. La crisi della raccolta pubblicitaria ha convinto le due testate con più lettori in Italia, che fino ad oggi avevano privilegiato una modalità sostanzialmente free della pubblicazione di notizie online rispetto alla versione cartacea.

Dall’inizio del prossimo anno un paio di giganti delle news italiane cominceranno a fare sul serio, facendosi pagare l’informazione online. Corriere della Sera (Rcs Mediagroup) e La Repubblica (gruppo L’Espresso) hanno deciso di passare dalle chiacchiere ai fatti. E potrebbero essere seguiti presto dal Sole24Ore e da La Stampa. Chi da gennaio digiterà Corriere.it e Repubblica.it dovrà aver pagato un abbonamento per accedere a quasi tutti i contenuti online, con la possibilità di leggere sul web anche l’edizione cartacea. […] Il modello è quello dei paywall, ovvero quello dei giornali online in abbonamento con modalità di pagamento differenti (a seconda di quanto l’utente utilizza), insieme con una parte che resta, comunque, gratis.

L’argomento è delicatissimo, la possibilità di sbagliare molto alta. La decisione di mettere un recinto attorno a un sito di informazione va calibrata con precisione chirurgica: la perdita immediata di visite e conseguente raccolta di pubblicità display, in aggiunta alla differente indicizzazione dei motori di ricerca per i singoli articoli chiusi, deve essere gradualmente compensata dagli introiti degli abbonamenti e da una diversa modulazione del gratuito e dei contenuti premium. Ci sono diversi modelli, alcuni di successo storico, come il Wall Street Journal, altri più recenti come il Bild. In Italia, però, nessuno ha mai tentato. La sensazione è che siamo arrivati al punto di non ritorno.

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