
Julian Assange potrà essere estradato. Lo ha stabilito la Corte Suprema inglese, chiamata a esprimersi sulla complessa e delicata battaglia legale che vede l’australiano accusato di violenza sessuale, reato per il quale è stata chiesta l’estradizione in Svezia. Un brutto colpo per la lunga battaglia legale che da 18 mesi impegna il fondatore di Wikileaks contro chi lo accusa. E che potrebbe poi farlo finire nelle mani dei suoi veri nemici: gli Stati Uniti.
Non è ancora stato però tutto deciso e gli avvocati di Assange ora hanno due settimane di tempo per ricorrere contro la sentenza ed impugnarla, con l’obiettivo di evitare l’espatrio sul quale si erano già pronunciati – anch’essi a favore – altri due tribunali. Per Assange le opzioni di difesa si restringono e la possibilità di finire nuovamente in cella si fanno sempre più concrete. Basta controllare l’account @wikileaks per rendersi conto della linea diretta che i sostenitori di Assange fanno rispetto a questa denuncia: citano, sibillinamente, la sentenza inglese e la «kill list» di Barack Obama.
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, 8:10 EST, talking Assange extradition and Obama’s kill lists [!] Ci sono problemi con l'autore. Controllare il mapping sull'Author Manager
— Glenn Greenwald (@ggreenwald)
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L’ex hacker si è sempre considerato vittima della vendetta degli Usa per la fuga di dati (il sospettato è il soldato Bradley Manning, ora in prigione con 22 capi di imputazione, rischia l’ergastolo), che alimentò i clamorosi
Il resto è cronaca: il sostanziale silenzio imposto ad Assange, la vicenda del presunto
Secondo gli avvocati, ad Assange resta la possibilità di ricorrere alla Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo, anche se alcuni legali del suo pool pare siano convinti che prima o poi in Svezia ci andrà, ma per vincere questa causa e tornare quindi ad essere un uomo libero.
L’ombra dell’estradizione, però, incombe soprattutto in termini di un possibile viaggio negli USA: in quel caso il biglietto potrebbe essere di sola andata.