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La sofferta decisione presa ad Aprile di differenziare i prezzi (dopo anni di costo fissato a 0.99 centesimi a brano per chiunque) ha infatti portato ad un immediato calo di vendite di tutti quei brani che sono saliti a 1.29 dollari, ma curiosamente sono rimaste stabili le vendite degli album.
Il risultato quindi è che mentre le vendite delle tracce (aumentate di prezzo) sono calate in alcuni casi anche dell’11%, nelle sei settimane posteriori al cambio il totale degli incassi è aumentato del 12% rispetto alle sei settimane precedenti. L’idea non è quella di aumentare le vendite, dunque, ma aumentare gli introiti. Il che rappresenta peraltro il problema principale delle etichette musicali le quali da anni ormai tentano di tamponare le perdite derivanti dalla caduta verticale del mercato dei CD.
C’è anche da aggiungere il fatto che a risentire della variazione di prezzo sono state più che altro le tracce meno richieste. I brani più popolari infatti sembrano abbastanza insensibili alle variazioni di costo (tranne alcuni casi clamorosi che sono però pochi ed isolati). Se si prendono le vendite dei brani della top40 dei singoli più venduti si scopre che il guadagno è aumentato del 20% sebbene le vendite siano diminuite.