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Prima dell’avvento di
e
, Java è stata la leader incontrastata delle applicazioni mobili: l’era del gaming portatile, seppur di limitata qualità e di bassa portata, è stata proprio inaugurata da Java Mobile Edition.
Con l’introduzione delle applicazioni per iPhone, nel 2008, Apple ha cambiato le carte in tavola: il proprio
ha subito sbaragliato la concorrenza di Java, fornendo un’esperienza di gioco portatile senza precedenti. E con l’arrivo di Android sul mercato, si è segnata la possibile deadline per le ormai poco attraenti app JME.
I produttori che ancora si avvalgono della tecnologia Java in ambito mobile, tuttavia, sono ben
. Riuniti in un consorzio, hanno creato la “Unified Test Initiative” per testare e verificare i software scritti in questo linguaggio. Per attrarre nuovamente gli sviluppatori, inoltre, il prezzo di accesso a questo servizio di test è diminuito da 300 dollari agli attuali 75.
Il gruppo, che si è recentemente distaccato da Oracle, ha dichiarato una vera e propria guerra agli smartphone targati Mela e bigG: le applicazioni Java non scompariranno affatto dal mercato e l’obiettivo dichiarato è la loro apparizione sui blasonati dispositivi Apple e Android. Il come, però, non è dato saperlo: Cupertino, ad esempio, vieta esplicitamente in App Store tutti i software scritti in un linguaggio differente dal proprio framework di riferimento. E
, qualche tempo fa, è stato
sulla questione:
Non vale la pena abilitare il supporto a Java. Nessuno usa più Java. È davvero una pesante palla incatenata ai piedi.
Allo stesso tempo, però, la “Unified Test Initiative” può contare sulla grandissima distribuzione di telefoni di fascia bassa, pienamente compatibili con il proprio standard. Più di tre miliardi di dispositivi al mondo, infatti, utilizzano applicazioni JME per i più svariati tasks. Questa sicurezza, tuttavia, alimenta un lecito dubbio: se Java è così forte grazie alla diffusione su telefoni di basse performance, perché preoccuparsi di iPhone e Android, letteralmente dislocati su un altro universo?