Volano insulti tra Kalanick e un suo driver

Travis Kalanick sbotta con un suo driver, poi si scusa: il video pubblicato da Bloomberg è uno squarcio di sincerità sul fenomeno Uber.
Volano insulti tra Kalanick e un suo driver
Travis Kalanick sbotta con un suo driver, poi si scusa: il video pubblicato da Bloomberg è uno squarcio di sincerità sul fenomeno Uber.

Ci sono momenti in cui la lancetta che punta gagliarda sul futuro si ferma per colpa di un piccolissimo ingranaggio. E i due si guardano e scoprono di avere più cose in comune di quanto pensavano: in fondo, fanno sempre parte del grande ingranaggio del mondo. Quando Travis Kalanick e Fawzi Kamel, rispettivamente Ceo di Uber e uno sconosciuto autista a disposizione degli utenti dell’applicazione, si sono trovati sull’auto dopo il Superbowl, per tre lunghi minuti il meccanismo si è fermato. Il grande capo ha dovuto prima sentire le critiche del driver e poi ha risposto male. Una figuraccia per cui ha già chiesto scusa.

L’episodio è stato reso noto da Bloomberg grazie a un video (molti tassisti e Ncc installano all’interno dell’abitacolo una piccola dashcam per questione di sicurezza) che sta spopolando negli all-news americani e in tutto il mondo, non soltanto per la reazione finale dell’imprenditore milionario, ma per le ottime argomentazione del driver, tutt’altro che intimidito di fronte a quello che a tutti gli effetti è il suo capo e capace di ragionare sulle scelte di mercato a suo dire penalizzanti per i “dipendenti” di Uber.

Concorrenza e tariffe in perdita

Vale la pena seguire il breve scambio tra i due. Inizia tutto con un simpatico «non so se si ricorda di me» di Fawzi, che comincia a parlare della sua vita quotidiana, della durezza del lavoro e soprattutto di come sia diventato troppo difficile guadagnare dall’attività, tolte spese e tasse. L’accusa mossa a Kalanick, peraltro non certo nuova, è quella di aver chiesto molto ai lavoratori della piattaforma in termini di sacrifici e di qualità del servizio, lasciandoli allo sbando su concorrenza e densità di vetture. Kalanick, da par suo, si difende ammettendo che il 2016 è stato un anno finanziariamente complicato per l’azienda, promettendo un taglio del numero di vetture in circolazione nelle città (pallino di tutti i tassisti e driver a ogni latitudine, compresa l’Italia), ma negando di essere responsabile dell’abbassamento del costo-per-corsa.

Sarebbe potuta finire qui, con una stretta di mano tra i due, ma è alla seconda critica che i toni si alzano. «Stai regalando le corse», accusa l’autista; «è colpa della concorrenza, rischiavamo di uscire dal mercato», risponde il Ceo. «Ma il mercato eri tu, avresti potuto applicare tariffe alte. Sono andato in bancarotta per colpa tua». È qui che scatta il nervosismo di Kalanick, probabilmente perché il driver mostra di essere piuttosto preparato e sveglio riferendosi a una critica che è stata mossa anche dagli investitori, poco convinti del modello di business di Uber.

Il mostro della mobilità privata è una società ultra-capitalizzata più per potenzialità che per veri ricavi, dato che coi conti della serva, quelli di Fawzi, si capisce che se i capitali venissero meno le corse non potrebbero sostenersi da sole con le tariffe, tolte le spese individuali di ogni autista. La gig economy in tutta la sua crudeltà: trainata da tecnologie dell’immateriale che però si interfacciano con la divisione sociale del lavoro, questa economia è talmente deregolamentata da creare enormi concentrazioni, fino al punto di mettere in discussione la tenuta dei mercati sui quali opera secondo le leggi dell’economia precedente, comprese le norme sul lavoro e il concetto stesso di lavoro dipendente/indipendente.

La reazione di Kalanick è paternalista: prima definisce stro**ate le parole del driver, poi moraleggia: «Il problema è che la gente non si prende le responsabilità per quello che fa, provando a dare agli altri la colpa dei suoi errori!».

Oggi il fondatore di Uber ha riflettuto sulla sua reazione e si è scusato pubblicamente. In una mail condivisa coi dipendenti ha ammesso che il video dimostra chiaramente come egli debba «cambiare e crescere come leader», aggiungendo le sue scuse personali a Kamel Fawzi:

Dire che mi vergogno di quanto accaduto sarebbe riduttivo. Il mio dovere come vostro leader è quello di guidarvi, e si parte con l’adottare una condotta che renda tutti orgogliosi. Non è quello che è successo, si tratta di un comportamento che non trova giustificazioni.

Il 37enne driver di Uber dal 2011 che ha spiegato in tre minuti quel che deve cambiare in azienda meglio di tutte le inchieste del globo, intanto continua il suo lavoro di piccolo ingranaggio. Che ha dato una stella (il voto minimo) al suo cliente. Chissà che non sia anche il voto di alcuni investitori. Per Kalanick un esempio potrebbe essere Mark Zuckerberg, anche lui accusato nei primi anni di non avere alcuna empatia con le altre persone, ma oggi decisamente più a suo agio nel comunicare sé stesso e la sua idea di impresa e di mondo.

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