Insulta un collega su Facebook: licenziata

A seguito di un commento offensivo nei confronti di un proprio superiore, una donna è stata licenziata. Ma il caso va in tribunale
Insulta un collega su Facebook: licenziata
A seguito di un commento offensivo nei confronti di un proprio superiore, una donna è stata licenziata. Ma il caso va in tribunale

Sospesa dal proprio lavoro per un commento di troppo su Facebook rivolto al suo superiore: è quanto accaduto negli USA a Dawnmarie Souza, che in seguito ad alcuni episodi accaduti sul proprio posto di lavoro si è lasciata andare ad offese verso un suo responsabile. La American Medical Response of Connecticut, azienda per la quale la donna lavorava, venuta a conoscenza dell’accaduto ha subito liquidato la propria impiegata, accusata di danneggiare pubblicamente l’immagine del gruppo.

Ed è a questo punto che scende in campo la National Labor Relations Board, agenzia federale che tutela l’interesse dei lavoratori degli Stati Uniti, che accusa la AMRC di aver agito illegalmente non avendo il diritto di fare leva su tali motivazioni per giustificare il licenziamento. Secondo il National Labor Relations Act, documento redatto per organizzare al meglio l’attività lavorativa dei cittadini americani, è sancito il diritto di ogni lavoratore ad esprimere il proprio parere in merito alle proprie condizioni lavorative ed ai datori di lavoro.

Tale documento rappresenta dunque un muro invalicabile da ambo le parti, una sorta di scudo dietro il quale i lavoratori possono difendersi dalle possibili ripicche che le aziende potrebbero applicare in seguito a dichiarazioni non opportune con i propri colleghi. Ma la società che si occupa del trasporto ospedaliero non vuole sentire ragioni: Dawnmarie Souza ha superato ogni limite e, sostengono i vertici del gruppo, merita il licenziamento.

La donna è infatti accusata di aver profondamente offeso un collega di lavoro, attaccandolo personalmente su Facebook con aggettivi volgari e fortemente denigratori. L’azienda non vuole punire l’atteggiamento in sé in quanto, come indicato, negli USA v’è libertà di espressione su colleghi e superiori. Il nocciolo della questione, piuttosto, riguarda il modo ed il momento in cui tale sfogo è avvenuto: tramite Facebook, e non nel tempo libero a disposizione della donna, utilizzando peraltro un computer non di proprio possesso.

L’aver pubblicato le offese tramite il social network potrebbe rivelarsi un boomerang per l’ex dipendente della società: Marshall Babson, membro della National Labor Relations Board, sostiene infatti che tale episodio potrebbe non rientrare in quelli contemplati dal documento a difesa dei lavoratori, non trattandosi di un colloquio diretto tra colleghi. Fino al 25 gennaio, comunque, si potranno solo spendere inutili parole per argomentare la propria tesi: per tale data è prevista la prima udienza, e solo un giudice potrà porre fine ad questione che va sicuramente oltre il singolo caso della signora Souza.

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