Il Panopticon di Google

Il Panopticon di Google

La definizione di Panopticon è di Jeremy Bentham ed è della fine del ‘700. Il Panopticon è un carcere ideale nel quale un solo guardiano può osservare tutti i carcerati per monitorare il loro comportamento. Il buon comportamento dei carcerati verrà dal fatto che nessuno di loro sa se in un dato momento è sotto osservazione o meno. Potenzialmente lo sono sempre. Dunque dovranno comportarsi bene costantemente per non rischiare di incorrere in punizioni.

La novità generata dalla provocatoria teorizzazione di Bentham è nella presenza virtuale dell’entità controllante: l’entità controllata, sentendosi perennemente sotto un occhio vigile, tenderà ad autoregolamentarsi normalizzando la propria attività.

E questo concetto mi è tornato alla mente nel momento in cui ho seguito l’evolversi dell’ultima diatriba sul PageRank: sebbene Google non si fosse ancora pronunciato, tutti avevano già capito quali fossero le “colpe”: link truffaldini, link a pagamento, link strumentali. Ed in tanti si son immediatamente prodigati ad autoregolamentare il proprio comportamento prima che un effetto negativo sul PageRank avesse portato a punizioni vere e proprie. Senza che il Panopticon Google abbia proferito parola alcuna (è stato semplicemente tolto un po’ di colore a qualcuna di quelle barrette colorate di verde sulla toolbar, il tutto senza la benché minima spiegazione), i controllati avevano già fatto in modo che il controllante non avesse di che adirarsi.

Perchè è lui che detta le regole, qua dentro. O quantomeno (per generosa estensione) a comandare sono loro: i motori di ricerca.

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