#IF2013: il vero è falso, e viceversa

Cosa è vero? Cosa è falso? Il Web ha cancellato il confine tra originale e "fake", mettendo così in discussione categorie radicate nella cultura diffusa.
#IF2013: il vero è falso, e viceversa
Cosa è vero? Cosa è falso? Il Web ha cancellato il confine tra originale e "fake", mettendo così in discussione categorie radicate nella cultura diffusa.

In uno dei panel di maggior caratura dell’intera kermesse, l’Internet Festival 2013 ha proposto al pubblico una riflessione di grande spessore quale la differenza tra il vero e il falso ai tempi del Web. Cosa è vero? Cosa è falso? Quali le accezioni storiche dei due termini e quali le distorsioni imposte oggi dalle nuove tassonomie emergenti?

Non se ne esce con una risposta certa, ed è in questa stessa affermazione la verità più importante: il “vero”, in quanto identificatore dell’entità che meglio identifica la “verità”, si contrappone al “falso” all’interno di un sistema binario che non sempre ben si adatta alla realtà. Ma la domanda entra a questo punto in un ciclo vizioso: cosa è reale? Quel che è falso è comunque reale? Quale parametro è in grado di dividere con certezza il vero dal falso? Dove sta il confine? E perché?

Che l’ambito fosse insidioso era chiaro fin dal principio. Edoardo Fleischner, direttore della scorsa edizione del festival, aveva così introdotto il tema:

C’è una foto che ritrae un elicottero nell’attimo in cui trascina un militare in salvo, nell’immagine è stato inserito un grosso squalo e sembra quasi che riesca a raggiungere il povero militare. L’immagine è stata fatta circolare in rete con una catena di Sant’Antonio via mail, nella quale si spiegava che la foto era stata scelta dal National Geographic come “Foto dell’Anno”. Si trattava ovviamente di un fotomontaggio nato dall’unione della foto del famoso documentarista Charles Maxwell con l’immagine scattata dal militare della US Force Lance Cheung, deputato alla documentazione delle operazioni del corpo armato. Il National Geographic è stato subissato da migliaia di e-mail che chiedevano informazioni sull’inquietante immagine al punto da spingere la redazione a pubblicare una pagina web apposita incui si decriptava la “bufala”. In quel caso il trucco è diventato più reale del reale. Il ritocco è diventato una verità surreale, onirica.

Quando una statua può essere definita “copia” e quando “originale”? Quando, quindi, vera o falsa? Il falso è in sé un approccio reazionario a quel che viene definito “vero” e nei confronti di chi firma tale definizione? La riflessione va quindi ribaltata sulla pittura e sulla fotografia. L’impossibilità di fornire una risposta univoca per ogni caso è la maggior negazione dell’impossibilità di fornire un punto di vista unico sulla questione. Tuttavia Alberto Abruzzese suggerisce un approccio differente al tema partendo proprio dalla domanda: invece della dicotomia vero/falso, occorrerebbe probabilmente riflettere sull’efficacia o sulla inefficacia di un elemento, valutando così il suo valore non tanto da specifiche caratteristiche intrinseche, quanto piuttosto dagli effetti che determina.

L’esempio principe proposto è quello de “Le nozze di Cana” di Paolo Veronese: la tela è stata spostata al Louvre nel 1797 dopo una serie di tagli che hanno consentito di confezionarla, spostarla e ricostruirla presso il Louvre. Oggi è possibile vedere l’opera del Veronese in due modi: l’originale ricostruito al Louvre (illuminato in modo errato e nel contesto sbagliato), oppure una riproduzione fedele grazie a scannerizzazione ad altissima definizione con riproduzione esposta con dettagli contestuali propri dell’opera dopo la sua prima ostensione. La domanda iniziale va ora reiterata: è più vera una copia originale distante dalla prima versione (ma direttamente derivante da quell’unica realtà), oppure una copia fedele in grado di suscitare la meraviglia di chi osserva?

Web, l’epoca del veramente falso

L’era del Web è l’era in cui il confine tra vero e falso è definitivamente sfumato. L’era del copia/incolla, dell’identità multipla, dell’avatar, dell’enciclopedia collettiva, dell’editing senza fine: l’epoca odierna si trova a vivere tutti i contrasti che un simile spostamento culturale dall’assolutismo al relativismo impone (con fior di incertezze a creare pesanti ansietà a livello sociale).

Discutere di “falso” all’Internet Festival diventa pertanto cosa fondamentale, poiché in ballo v’è l’identità delle persone, l’ordine mentale di una società basata su verità scritte ed ereditate nei secoli, un’estetica profondamente radicata che improvvisamente vien messa in discussione. Nell’epoca del “veramente falso”, però, anche altro viene a modificarsi: il ruolo tra opera ed osservatore muta improvvisamente, sfumando anche in questo caso le due parti verso una entità unica ed organica. Il commento, sul Web, è parte integrante del contenuto a cui fa riferimento, infatti. Non solo: nel momento in cui l’osservatore assurge al ruolo dell’opera, il pubblico diventa opera in sé. Eccoli, quindi, i social network: la vetrina della vita resa perenne espressione artistica, ove l’immagine viene ad avere la meglio sull’essenza, dove la forma si fa sostanza.

La riflessione si chiude così su se stessa, sgonfiandosi autonomamente per sua stessa natura. La risposta alla domanda iniziale è infatti relativa alla bontà della domanda stessa, suggerendo intrinsecamente la possibilità per cui probabilmente siano altre ormai le riflessioni da portare avanti.

Quando la parola (portatrice di verità) non era ancora trasmessa per iscritto, la verità era continuamente oggetto di competizione tra versioni differenti che lottavano per imporsi. La verità era insomma opera di una selezione naturale e, tramite un percorso tortuoso e lungo, si dipanava nel tempo, veniva plasmata, si adattava e veniva continuamente attualizzata. Poi venne la scrittura, con il suo ardore a cristallizzare i concetti per renderli più elevati, fissi, immortali. Oggi, nell’epoca dell’oralità di ritorno, non si può far altro che constatare come il passo avanti dal vero al falso altro non sia se non un passo indietro. Semplicemente i paradigmi della scrittura si stanno indebolendo in favore di un nuovo modo di raccontare la realtà, rendendo il tutto più liquido e cangiante, meno controllabile. L’oralità di ritorno ha probabilmente meno “verità” da proporre, ma non per questo si rivelerà nel tempo meno “efficace”.

La verità, insomma, non sembra essere in una risposta: probabilmente la verità è piuttosto parte integrante, naturalmente intrinseca ma non svelata, della domanda.

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