I professionisti italiani diventano mobile workers

Le attività dei professionisti italiani si svolgono sempre di più su smartphone e tablet con i quali si naviga, si accede alla posta e si leggono documenti
I professionisti italiani diventano mobile workers
Le attività dei professionisti italiani si svolgono sempre di più su smartphone e tablet con i quali si naviga, si accede alla posta e si leggono documenti

In Italia è in corso una lenta ma progressiva rivoluzione che coinvolge i professionisti che con cautela si stanno avvicinando al mondo delle App ed agli strumenti che permettano loro di lavorare con dispositivi mobili. Una rivoluzione lenta ma dall’alto potenziale se è vero che il 42% del totale dei professionisti italiani trascorre almeno il 50% del tempo lavorativo fuori dallo studio. Dati che emergono dalla ricerca condotta dall’Osservatorio Ict & Professionisti della School of Management del Politecnico di Milano presentati al convegno “Se parliamo di professionisti, in realtà parliamo di imprese!”, che si è tenuto al Politecnico di Milano.

Questa tipologia di professionisti che è possibile identificare come “mobile workers” è maggiormente riscontrabile tra i professionisti degli studi associati e degli avvocati (12%), seguiti dai commercialisti (8%) e dai consulenti del lavoro (3%). Queste speciali figure professionali occupano almeno la metà del loro tempo lavorativo “esterno” utilizzando smartphone, tablet o pc portatili. Le attività che svolgono maggiormente i mobile workers sono: la lettura dell’email (19%), la navigazione in Internet (17%), la lavorazione di documenti (10%) e la consultazione di dati dello studio (9%).

Gli strumenti che i mobile workers utilizzano per lo più sono gli smartphone, seguiti dai pc portatili e dai tablet: i primi usati prevalentemente per gestire le email (26%), i secondi per lavorare su documenti (26%), mentre i tablet, invece, per navigare in Internet (19%). Nessuna professione risulta più “mobile worker” delle altre. Il 26% dei professionisti usa App a contenuto professionale nelle loro varie forme, mentre il 45% dimostra disinteresse, soprattutto perché lavora poco in mobilità (30%). Tra le categorie professionali, i più assidui utilizzatori di App professionali sono gli avvocati (29%), seguiti dai consulenti del lavoro (23%) e, per finire, dai commercialisti (21%). Gli studi multidisciplinari raggiungono la percentuale più alta, pari al 32%.

Lo studio dell’Osservatorio Ict & Professionisti della School of Management del Politecnico di Milano evidenzia inoltre come i professionisti siano interessati all’ICT, in particolare alle soluzioni cloud, alla firma grafometrica e alle App ma che la diffusione delle nuove tecnologie tra i professionisti sia ancora limitata, anche a causa della crisi economica che riduce il budget a disposizione. Un peccato perché l’uso degli strumenti digitali potrebbe aumentare l’efficenza lavorativa e contestualmente ridurre anche i costi ed aprire nuovi filoni di business.

In ogni caso, tra le tecnologie più diffuse, lo studio evidenzia la firma digitale (nel 78% dei casi) e l’home banking (76%), seguite dai software di gestione elettronica documentale (46%) e poi, in misura minore, il sito Internet “vetrina” (21%), l’e-learning (20%) e il controllo di gestione per lo studio (19%).

Lo studio evidenzia ancora come il sentiment degli studi professionali verso la tecnologia appaia in generale positivo, riconoscendo i benefici che questa è in grado di generare. All’Ict viene riconosciuta la capacità di creare efficienza e nuovi servizi (con l’85%-96% di accordo tra i professionisti). Inoltre, la maggioranza dei professionisti riconosce una correlazione positiva tra tecnologia e redditività, ma emerge anche una certa difficoltà a dare un valore quantitativo ai benefici, percepiti soprattutto in termini generali. Il percorso di avvicinamento alle tecnologie mostra al tempo stesso attrazione e diffidenza, anche se la percezione tendenziale è positiva. Emergono anche le difficoltà che condizionano la diffusione delle tecnologie presso gli studi. In particolare, sono l’alfabetizzazione informatica dei titolari (42%), il livello dei costi dei software (30%) e la difficoltà a conoscere realmente l’offerta del mercato (23%). Il 21%, invece, non ravvisa problemi particolari.

Ti consigliamo anche

Link copiato negli appunti