I nostri "no" a De Benedetti

I nostri

Leggere le parole di De Benedetti (e si consiglia a tutti di leggerle) non può che scatenare una selva di emozioni. Emozioni dettate da una logica. Perchè c’è tutta una storia che viene rivoltata, c’è una compartecipazione necessaria per un teorema che rischia di rivoltare i valori in campo. Le parole di De Benedetti hanno il merito di portare sulla pubblica piazza, senza vergogna, una realtà inoppugnabile: il mondo dell’editoria è in grave crisi. Nonostante sia sui giornali che si svolge gran parte del dibattito politico, nonostante siano i giornali l’ombelico dell’informazione televisiva di questi giorni, nonostante siano i giornali uno dei comparti storicamente più aiutati dallo Stato per una sopravvivenza che oggi ormai è in dubbio.

E se non è a rischio l’impresa editoriale, è a rischio la relativa libertà, perchè la dipendenza nel sostentamento, più o meno direttamente, diventa giocoforza un giogo sotto il quale soccombere.

Il discorso di De Benedetti, però, viaggia su di un piano massimalista, ignora elementi fondamentali e sembra voler rivoltare la realtà in modo strumentale alle necessità di un comparto sull’orlo del baratro. A caldo, pertanto, abbiamo tentato di mettere per iscritto quel flusso di emozioni, razionalizzando così ciò che nella lettera dell’editore suona strano. Ognuno si senta libero di aggiungere le proprie osservazioni, così come ha già fatto con equilibrio, tra gli altri, Quintarelli.

  • La rete deve finanziare l’editoria o forse l’editoria dovrebbe finanziare la rete? Portare all’editoria denaro sottratto da una realtà che in Italia è già oltremodo sofferente (siamo tra i peggiori navigatori d’Europa) non solo sarebbe dannoso, ma sarebbe anche controproducente per i desideri stessi dell’editoria, poiché significherebbe finanziare una transizione verso un canale malato, limitato, bloccato ed in ritardo
  • Il 30% del tempo in rete passato su siti di informazione? Dato privo di supporto, dato difficilmente credibile, dato peraltro in contraddizione con molte altre stime che indicano nella pirateria, nella pornografia, nella fruizione di foto/video e nei social network le grandi realtà occupanti la maggior parte del tempo passato sul Web
  • Quando una ipotetica Unione Produttori ed Editori Pornografia richiederà la propria parte come contributo transitorio a supporto della sua attività in difficoltà nel passaggio dal DVD al download, come dovrà muoversi il legislatore? Quali comparti meritano l’aiuto dall’alto e quali invece no?
  • Sky paga chi offre i contenuti perchè crea un pacchetto chiuso nel quale i contributi possono essere “venduti” ad un distributore (c’è un vero e proprio mercato dei contenuti, con Sky acquirente prima di essere distributore). Faccia così anche l’editoria, volendo, ma non chiedendo di imporre una tassa sulla rete. Perchè la Rete non è un distributore, ma una infrastruttura. L’editoria può rivalersi con chi gestisce i contenuti, non certo con chi gestisce il traffico, i cavi, le dorsali
  • Una tassa imposta a monte sul costo delle connessioni equivale ad una tassa antipirateria imposta a priori sui CD. Déjà vu…
  • Se la tassa ricade sui cittadini, va a pesare sulla rete (male). Se la tassa ricade sui provider, va a pesare sugli investimenti (male). Su chi dovrebbe ricadere, quindi?
  • Perchè aziende private che si confrontano in regime di libera concorrenza (i provider) dovrebbero sostenere le difficoltà di un altro comparto, peraltro già sorretto da aiuti statali? Non è successo il contrario, in passato: le difficoltà dei piccoli provider, i problemi del digital divide ed i problemi generati dall’incumbent non sono stati né appoggiati, né evidenziati, né sostenuti dai grandi editori (per motivi poco legati alla bontà dell’informazione e spesso basati più su compromessi economici e pubblicitari)
  • Mettere sullo stesso piano Google ed i provider significa confondere i termini. Con il primo le trattative sono in atto, e l’editoria non sembra riuscire a tenere il coltello dalla parte del manico, mentre con i secondi si cerca una appropriazione indebita
  • Chi stabilisce la cifra da devolvere ad un fondo per l’editoria? Come si può attribuire la quota agli editori, o i parametri con i quali spartire la torta tra gli stessi? Perchè l’editoria “cartacea” deve essere favorita? Quale editoria merita l’aiuto? Chi farà i nomi dei beneficiari?
  • L’antitrust potrebbe accettare una “misura transitoria” che andrebbe a favorire l’editoria cartacea alle spese di una editoria digitale già viva da tempo? Perché favorire l’editoria tradizionale, punendo chi ha accettato i rischi della frontiera digitale per portare avanti il proprio mercato?

In queste osservazioni c’è poco ordine e nessun filo logico. Ma tentano di entrare nel merito di una proposta il cui unico merito è nella realtà dei fatti: l’editoria è in difficoltà ed è un dovere per tutti cercare una soluzione. Quella proposta da De Benedetti, però, francamente non regge.

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