Huawei e la rivoluzione del Made in China

Huawei non produce solo smarthone e tablet, è un colosso della comunicazione, leader in Cina nelle infrastrutture, e ora vuol conquistare il mondo.
Huawei e la rivoluzione del Made in China
Huawei non produce solo smarthone e tablet, è un colosso della comunicazione, leader in Cina nelle infrastrutture, e ora vuol conquistare il mondo.

Quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare. Eppure a guardare Huawei da qui, in Italia, uno potrebbe pensare che il produttore cinese di smartphone e tablet rischi di fare il passo più lungo della gamba, andando a confrontarsi con giganti quali Samsung e Apple. Roba da folli, insomma.

Se ci si sposta in Cina, però, ci si accorge che il “gioco” per Huawei è cominciato oltre 30 anni fa e che dietro alla produzione di dispositivi mobili dall’ottimo rapporto qualità/prezzo c’è un colosso dell’industria delle comunicazioni, con 170.000 dipendenti sparsi fra Cina ed estero, centri di sviluppo in tutto il mondo e un giro d’affari che abbraccia più settori e la quasi totalità del globo terrestre. Benvenuti nella vera Huawei.

Huawei a Shenzhen: quartier generale, polo universitario e cittadella

Fare un salto in Cina per alcuni giorni non è il massimo per scoprire un intero paese, specie se tanto vasto e variegato, ma può bastare per farsi un’idea molto chiara di come opera e come “ragiona” un’azienda. Deve essere questo il pensiero che ha convinto il direttorio di Huawei a invitare una trentina di testate italiane, fra carta, tv e web, a visitare i suoi centri di sviluppo e la sede operativa. Un invito che Webnews ha accettato volentieri.

Il tour è cominciato da Shenzhen, dove ha sede il quartier generale di Huawei. Non una semplice palazzina, bensì un ampio e vasto comprensorio, costituito dagli uffici, raccolti in un enorme ed elegante complesso, dalle aree ristoro, sport e svago – c’è persino un lago con tanto di cigni neri -, simili a quel che si può trovare in un centro commerciale di lusso, e dagli edifici adibiti ad abitazione per i dipendenti che ne avessero necessità (l’azienda li affitta a prezzi ribassati e i primi tre mesi sono gratis, per dare il tempo ai neoassunti di sistemarsi).

Girarlo a piedi è impegnativo e per questo ci si sposta in bus. La fermata più sorprendente è senz’altro quella universitaria, una struttura anch’essa moderna ed elegante ma soprattutto inattesa. Come ha spiegato James Zou, nuovo General Manager Consumer Business Group Italy: “Huawei punta molto sul fattore umano e crede nella convenienza della formazione continua. Non si tratta di un percorso obbligato ma piuttosto di un’opportunità di crescita per chi fosse interessato a fare carriera o ad acquisire nuove conoscenze in altri settori”.

Fino a qualche anno fa, l’Università di Huawei era accessibile ai soli dipendenti e anche gli insegnanti erano esclusivamente dipendenti che sceglievano di mettere la propria esperienza a disposizione di tutti. Oggi, il polo universitario è aperto e attira docenti esperti, spesso anche stranieri, e studenti di ogni provenienza.

Chiaramente, il timore che qualcuno copi il modello Huawei o sfrutti le lezioni per rubare il mestiere nasce spontanea – in Cina sono molti i libri che parlano del modello Huawei – ma Mr Zou è tranquillo: “Il modello Huawei è già copiato, quindi anche se fra gli studenti ci sono dei dipendenti dei nostri competitor, per noi cambia poco. Finora nessuno è riuscito a eguagliarci. Questo perché il nostro personale è altamente qualificato e, crediamo sinceramente, migliore degli altri”.

D’altronde Huawei ha avviato da anni un processo di selezione del meglio che le università cinesi sfornano ogni anno e non sorprende quindi che l’età media dei suoi dipendenti sia molto bassa. Inoltre, più di recente, ha cominciato ad assumere giovani più talentuosi provenienti da tutto il mondo, aprendosi quindi al dialogo e alla diversificazione culturale.

Ma questo non basta. Entro il 2018 l’azienda promette di portare a compimento la costruzione di una nuova sede alle porte di Shenzhen, nella bella zona dei laghi, che raccoglierà tutto il personale e le strutture al suo interno. Sarà una cittadella interamente autonoma, in grado di accogliere anche le famiglie dei dipendenti garantendo loro accesso a un ospedale, alle scuole, a un centro commerciale e a servizi di ogni tipo, incluso l’intrattenimento. D’altronde, che la visione del futuro animi i progetti dell’azienda cinese non è un mistero. Make it possibile, il suo claim, lo afferma implicitamente.

Breve storia di Huawei

Ma come è arrivata a tanto Huawei in 30 anni? E perché ha scelto di agire anche nel settore dei dispositivi mobili? Forse è meglio fare qualche passo indietro per comprendere l’evoluzione di questo colosso.

Huawei è nata nel 1987 dalla volontà del suo fondatore, Ren Zhengfei, di cogliere le opportunità nascenti dalla riforma economica cinese e dal “socialismo con caratteristiche cinesi” (teoria che giustifica il passaggio da un’economia pianificata a una aperta sebbene supervisionata dallo stato) volute dal leader riformatore Deng Xiaoping fin dalla fine degli anni ’70. Dapprima ha concentrato la propria attività sul reverse engineering (pratica commerciale consentita in Cina) per realizzare le antenne necessarie alla nazione nel suo piano di ammodernamento delle infrastrutture di comunicazione.

Già a inizio degli anni ‘90, Huawei aveva ottenuto la leadership nel mercato cinese nel settore delle antenne per la rete mobile e si avviava verso la produzione e commercializzazione di massa di sistemi e soluzioni di rete e telecomunicazioni. Successivamente, facendo leva su costi più bassi e su un alto livello qualitativo, nel 2005 arrivò la svolta grazie alla stipula di un contratto di fornitura globale con Vodafone.

Ciò diede all’azienda non solo nuove risorse ma anche un passepartout per i mercati esteri. Nel giro di un quinquennio il nuovo colosso cinese stipulò importanti contratti di fornitura in numerosi paesi portando, per la prima volta nella sua storia, i proventi dall’estero a superare quelli dalla Cina. Oggi, Huawei collabora con 45 dei primi 50 operatori di telefonia mobile mondiali operanti in ben 140 nazioni.

Huawei a Shanghai: i centri di ricerca e sviluppo

Dietro a questa straordinaria crescita sta il segreto di un’azienda che ha deciso da subito di investire fortemente in ricerca e sviluppo al punto, ormai da qualche anno, di spendervi regolarmente il 10% del fatturato annuo. Grazie a questo impegno costante Huawei è arrivato allo straordinario risultato di aver registrato 50377 brevetti in Cina (di cui oltre 30000 sono riconosciuti anche all’estero) e di essere stato fra i primi, nel 2009, a poter fornire un network commerciale basato su tecnologia LTE a un’intera nazione, la Norvegia.

Non è un caso, perciò, se oggi Huawei è tra i fautori dello standard 4.5G (800Mhz rete cellulare e 2.6GHz Wi-Fi) che a breve garantirà la circolazione, fra le altre cose, di contenuti Ultra HD via Internet. Né lo è il fatto che stia fornendo un contributo significativo alla ratifica del velocissimo nuovo standard 5G (fino a 10 Gbps e latenza di pochi millisecondi), atteso per il 2020, che consentirà lo streaming di contenuti in 8K – il Giappone dovrebbe essere il primo partner commerciale di Huawei ad adottare il 5G poiché intende trasmettere le Olimpiadi del ‘20 in 8K.

Per svolgere tutti i test e gli esperimenti, Huawei dispone di un enorme complesso dedicato alla R&D, situato a Shanghai. Proprio qui è proseguito il tour dei giornalisti, alla scoperta di un elegante e monumentale complesso, anche questo animato da migliaia di persone – al momento ben il 45% dei dipendenti totali è impegnata in questo settore – che trascorrono la propria attività lavorativa sostanzialmente mettendo a dura prova i prodotti Huawei o testando nuove tecnologie non ancora in commercio.

Webnews ha avuto il privilegio di poter varcare la soglia di alcuni dei suoi laboratori per vedere da vicino come vengono eseguiti i test di resistenza e affidabilità sugli smartphone: diversi team di esperti raccolgono minuziosamente dati statistici e svolgono analisi accurate fornite da robot che premono a ripetizione, migliaia di volte, i tasti fisici dei dispositivi o li lasciano cadere su una lastra di granito, o testano l’efficacia dei microfoni nell’eliminare il rumore di fondo durante una chiamata.

La Cina di Huawei

Insomma, appare ormai evidente quale sia la reale struttura di Huawei, un affermato colosso multinazionale con un fatturato da miliardi di euro, operante in ben tre aree specifiche – Carrier, Enterprise e Consumer – con altrettante divisioni dedicate.

Le sue attività la vedono coinvolta nei settori delle infrastrutture, della comunicazione, del IoT, del cloud computing, del big data, della sicurezza, della smart city, della smart home (per la quale ha creato la Huawei Smart Home Alliance con oltre 100 partner cinesi sviluppando anche un OS ad hoc, il LiteOS), del mobile (con interfaccia proprietaria EMUI 5.0), della connected car (con partnership di livello assoluto fra cui Audi, Citroen, Crysler, Daumler, Volskwagen, Lexus, Renault, Tesla, Mercedes), della realtà virtuale e dell’intelligenza artificiale, giusto per citare i più importanti.

Inoltre, come spiega Lindoro Ettore Patriarca, Direttore Marketing Huawei Italia, l’azienda adotta una formula senza pari che le consente di mantenere sempre alto lo spirito partecipativo e la motivazione dei suoi dipendenti: stipendi sopra la media cinese nel comparto di appartenenza, sistema premiale, benefit vari e un azionariato diffuso (il 98,6% è diviso fra i dipendenti). Inoltre il direttorio cambia a rotazione ogni 6 mesi per garantire il ricambio.

Pier Giorgio Furcas e Lindoro Ettore Patriarca, Huawei Italia

Pier Giorgio Furcas e Lindoro Ettore Patriarca, Huawei Italia

Adesso che Huawei è entrata di diritto anche nel gotha dei dispositivi mobili, questa diversificazione le garantisce un vantaggio assoluto per il futuro poiché, come spiega Pier Giorgio Furcas, nuovo Deputy General Manager Consumer Business Group Italy: “A differenza di altri colossi, l’azienda cinese conosce meglio di chiunque la tecnologia e le infrastrutture che garantiscono la comunicazione mobile e ciò le permetterà di avere un anno di anticipo rispetto alla concorrenza, e meglio di altri, ad implementare i nuovi standard nei nostri prodotti. Ma non trascuriamo nemmeno il design, uno dei pilastri della nostra attività, assieme a prestazioni e tecnologia: abbiamo aperto un centro di studio e sviluppo esclusivamente dedicato al design, a Parigi, uno dei centri rappresentativi della moda”.

Non deve quindi far sorridere la dichiarazione di intenti del presidente di Huawei: diventare il numero uno nel settore mobile entro i prossimi due anni (in Cina Samsung è stata già superata da tempo). E non solo. Poiché in Cina Huawei è considerato alla stregua di Google grazie agli strumenti e alle applicazioni che offre paragonabili a quelli del colosso di Mountai View, la società sta vagliando l’opportunità di ampliare anche questo settore al mercato globale.

Alla fine del tour, le impressioni e i pareri sono unanimi. La Cina che Huawei ha mostrato ai suoi invitati è certamente solo uno spaccato, ma è comunque rappresentante di un paese dinamico e moderno, proiettato verso l’innovazione e il futuro. Le stesse Shenzhen e Shanghai, con gli ampi boulevard, i grattacieli svettanti e il lusso dei loro frequentatissimi shopping centre, sono la dimostrazione di quanto la Cina sia cambiata. E di quanto possa ancora cambiare.

D’altronde è ormai risaputo che la fase successiva del piano di sviluppo voluto dal governo cinese prevede l’ulteriore espansione verso i mercati esteri, non solo compiendo importanti acquisizioni ma soprattutto cominciando a esportare i propri marchi, nel tentativo di cambiare la percezione del Made in China in tutto il mondo. A quel punto, nel disegno dei leader del partito, la Cina sarà pronta a prendere in mano le redini economiche del mondo.

E proprio brand come Huawei – il cui indice di notorietà è passato dal 15% al 90% in soli tre anni, con un tasso di assunzione del 10% annuo, store ufficiali sparsi in tutta la Cina e un fatturato previsto per il 2016 pari a circa 80 miliardi di dollari – sono l’ideale per rappresentare l’essenza di questa nuova rivoluzione cinese.

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