Google sotto la minaccia antitrust

Google dovrà rispondere alle accuse di SourceTool.com, secondo cui il motore di Mountain View avrebbe usato pratiche scorrette per spingere fuori dal mercato un piccolo motore verticale. Ma l'accusa in sé non è il solo rischio antitrust per Google
Google sotto la minaccia antitrust
Google dovrà rispondere alle accuse di SourceTool.com, secondo cui il motore di Mountain View avrebbe usato pratiche scorrette per spingere fuori dal mercato un piccolo motore verticale. Ma l'accusa in sé non è il solo rischio antitrust per Google

C’è chi osa sfidare Google. C’è chi osa asserire che il gruppo del “don’t be evil” ha in realtà qualcosa di poco pulito nei meccanismi segreti dei propri algoritmi. C’è chi sfida il gigante con le proprie limitate armi, come Davide contro Golia, portando sul campo numeri ed esperienze per dimostrare che l’antitrust dovrebbe guardare con maggior severità al motore di Mountain View. Dalla parte dell’accusa la piccola TradeComet.com. Dalla parte della difesa Google, i suoi servizi per l’advertising ed i suoi segreti.

Tutto verte attorno all’esperienza di SourceTool.com (sito controllato dalla TradeComet.com) in qualità di cliente Google. Il piccolo motore di ricerca avrebbe infatti adoperato il sistema promozionale di Google AdWords per veicolare traffico sulle proprie pagine, ma ad un certo punto tale strategia è improvvisamente divenuta insostenibile. Secondo quanto contenuto nei documenti dell’accusa, infatti, Google avrebbe repentinamente moltiplicato il prezzo delle inserzioni del 10000% (un fattore di moltiplicazione pari a 100 volte la cifra iniziale: da 5/10 centesimi a 5/10 dollari per ogni singolo click). TradeComet.com non ha dubbi relativamente al motivo di tale impennata: Google ha capito che a fruire di quelle precise keyword sarebbe stato SourceTool.com, un motore verticale potenzialmente pericoloso per una precisa fetta del mercato del leader dei motori di ricerca. Onde evitare una emorragia di query e di inserzionisti, quindi, Google si sarebbe adoperato per modificare il sistema rincarando il prezzo e compensando così i pericoli provenienti da un cliente scomodo arrivato a sborsare cifre da capogiro.

Secondo le fonti ufficiali non sarebbero pochi gli inserzionisti che hanno lamentato dubbie situazioni similari, ma ora TradeComet.com porta tutto in tribunale nella speranza che l’antitrust possa verificare quanto accaduto con maggior profondità. Google ovviamente difende il proprio operato e, benché ammetta di non aver ancora visto i documenti ufficiali dell’accusa, avanza un primo teorema che allontana intenti maligni: la concorrenza nel settore sarebbe alta, la scelta vasta, dunque non sarebbe spiegabile né vantaggioso un comportamento doloso nei confronti di un cliente.

Curiosamente l’accusa sarà gestita da Jonathan Kanter, partner della Cadwalader Wickersham & Taft, precedentemente dalla parte della difesa nel momento in cui ha collaborato ai lavori legali di casa Microsoft quando l’antitrust guardava anzitutto verso Redmond. Kanter oggi nega che la nuova causa sia in qualche modo legata a Microsoft ed allontana ogni sospetto concentrando su Google e su SourceTool.com le 38 pagine già depositate presso la Corte Federale di New York.

Se il meccanismo nascosto dietro ai fatti è ancor tutto da svelare, la parte evidente sembra quantomeno motivare la bontà dell’accusa: SourceTool.com, trovatosi a pagare fino a 500000 dollari al mese per promuovere le proprie attività su Google, ha dovuto sospendere le proprie inserzioni ed ha così visto cadere pesantemente il proprio traffico. Secondo AP oggi SourceTool.com avrebbe il 90% di utenti in meno, secondo la stessa SourceTool.com il crollo sarebbe addirittura del 99%. In ogni caso il piccolo motore sarebbe oggi ad ogni effetto fuori dal mercato e la sua sostenibilità economica non motiverebbe più il perseguimento della ragione sociale del gruppo.

La corte di New York dovrà ora aprire il proprio fascicolo relativo a Google e l’antitrust potrebbe essere chiamata a compiere le proprie verifiche. In tal caso Google potrebbe avere qualcosa da temere se è vero che anche in seno all’amministrazione Obama c’è chi a suo tempo ha già visto proprio nel gruppo di Mountain View la Microsoft del nuovo millennio. Letteralmente: «Per me, Microsoft è roba dell’altro secolo. Non ci sono problemi. […] Continueranno però ad esserci problemi, potenzialmente con Google […] ha acquisito un monopolio nell’advertising online». Parola di Christine A. Varney, nominata da Barack Obama come Assistant Attorney General dell’Antitrust USA all’interno del Dipartimento di Giustizia.

Christine A. Varney non è da sottovalutare. Le sue parole contro Google risalgono allo scorso maggio, quando ancora Obama era un semplice candidato che voleva essere il primo Presidente nero della storia e la Varney era fuori dal giro delle cariche ormai da qualche tempo. Precedentemente il suo nome era balzato alle cronache per aver messo pressioni all’amministrazione Clinton affinché venisse rinforzata l’ostruzione a Microsoft per le proprie pratiche anticoncorrenziali quando ancora il Web era il mondo di Netscape. Dalla Varney sono giunte in passato parole di grande elogio per Google: perchè ha saputo innovare in modo «spettacolare», perchè ha lavorato in modo «incredibile», perchè ha guadagnato la propria posizione in modo «assolutamente legale». Ma c’è un’analisi in prospettiva che deve invece far pensare circa la potenziale posizione futura del gruppo: «[Google] ha rapidamente guadagnato forza sul mercato in quello che viene definito come l’ambiente di sviluppo in the cloud […] quando tutte le nostre imprese si saranno spostate sul computing in the cloud e ci sarà una sola azienda ad offrire queste soluzioni, vedrete la ripetizione del caso Microsoft».

Google esce da un semaforo verde sul caso DoubleClick e da un semaforo rosso sul caso Yahoo. Il “giallo” della Varney impone ora massima cautela.

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