Google e Facebook si fanno i cavi da sé

Le grandi aziende del web sempre più in contrasto con le telco per il controllo del backbone di Internet, tentate di costruirselo da sole.
Google e Facebook si fanno i cavi da sé
Le grandi aziende del web sempre più in contrasto con le telco per il controllo del backbone di Internet, tentate di costruirselo da sole.

Le tech company vogliono mettere mano alle dorsali dei bit di Internet. Il Wall Street Journal ha autorevolmente sancito lo scontro – sotterraneo, in tutti i sensi – tra aziende come Google e Facebook e le società di telecomunicazione. Scontro inevitabile, visto e considerato che non solo forniscono gran parte del contenuto che passa da questi cavi sottomarini, ma negli ultimi anni hanno investito in modo massiccio nella infrastruttura di Internet.

Che i californiani potessero finire per scontrarsi con le telco era scritto, le prime ad averlo capito sono proprio le testate finanziarie, perché quando Google mette insieme una rete di cavi in fibra ottica privati controllando più di 100.000 miglia di itinerari in tutto il mondo, si capisce che la concorrenza è solo un altro termine per definire una guerra. Da una parte, i dirigenti che sostengono di voler diminuire i loro costi, dall’altra le telco che si vedono chiusi alcuni contratti a lungo termine.

Il progetto di fare da soli

I numeri sono ancora parziali, minoritari rispetto all’infrastruttura, ma anche Facebook sta costruendo propri cavi sottomarini in fibra ottica per il continente asiatico e dal centro server in Svezia per i paesi del nord europa. Situazione molto delicata per le telco nazionali – compresa l’italiana Telecom – e anche terribilmente interessante se incrociata con lo scandalo Datagate, che si basa anche sull’intrusione dai cavi della NSA con la compiacenza – legalmente obbligata – delle società di telecomunicazione.

La tentazione di fare da soli, dunque, c’è, anche per soddisfare esigenze di cloud computing sempre più elevate da parte dei clienti. I numeri sono mostruosi, il traffico online è ormai alle stelle, guidato dallo streaming video e smartphone che ha ampliato la portata di Internet a milioni di persone, molte delle quali in zone poco collegate. I video di YouTube in streaming divorano oltre la metà della capacità di Google, il numero di utenti Internet in India è raddoppiato solo negli ultimi due anni, mentre oltre 60 milioni di asiatici sono entrati nel mobile negli ultimi tre mesi.

Tecnologicamente, però, è quasi impossibile immaginare una infrastruttura di rete mondiale alternativa e privata, anche se ovviamente sarebbe più facile per i detentori monitorare il proprio traffico, trasformandolo in un vero servizio (anche se questo violerebbe probabilmente il principio della neutralità della Rete).

Le telco, dal canto loro, si sono spesso rifiutate di cedere il controllo delle loro reti, anche se alcune di loro stanno mostrando un atteggiamento più aperto: l’economia della Rete sta cambiando e gli osservatori americani temono si possa finire in un vicolo cieco che farebbe male a Internet. Gli investimenti dei colossi del Web sono fondamentali per il suo sviluppo, però le telco non possono accettare di essere ridotte a «costruttori di tubi».

Come finirà? Stando a guardare gli investimenti di Facebook, Microsoft, Amazon, nel giro di due-tre anni gli oceani vedranno riversati cavi in fibra ottica del valore di decine di miliardi di dollari, ciascuno col suo brand.

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