Google Buzz cerca il perdono

Google ha proposto un accordo da 8,5 milioni di euro per mettere la parola "fine" alla class action contro Google Buzz. Google non cambia impostazioni, ma promette trasparenza
Google Buzz cerca il perdono
Google ha proposto un accordo da 8,5 milioni di euro per mettere la parola "fine" alla class action contro Google Buzz. Google non cambia impostazioni, ma promette trasparenza

Google sta cercando di mettersi alle spalle uno dei problemi più rumorosi degli ultimi mesi: l’intoppo vissuto da Google Buzz sul piano della privacy. Ma sarà una operazione non priva di costi: Google ha stanziato infatti 8,5 milioni di dollari per chiudere una class action che, oltre agli ovvi riscontri legali, rischia di aggiungere fango su una vicenda già di per sé scomoda per l’importanza e la forza del brand di Mountain View.

I problemi sono sorti nel momento in cui, per approfittare della posizione di forza di Gmail, Google ha tentato di dare il via a Google Buzz come appendice alla casella di posta. Tale aggiunta ha infatti sollevato un polverone per il modo in cui la privacy degli utenti è stata forzata da un accostamento grossolano tra il social network e la webmail, operazione che ha costretto troppi utenti a cambiare le impostazioni quando ormai il danno era compiuto. Una class action ha immediatamente preso forma e Google è intervenuta sul problema quando ormai la polemica era di pubblico dominio.

Oggi Google intende mettersi alle spalle la vicenda. Ma non c’è alcun passo indietro: Google sta tentando piuttosto di metterci una pietra sopra. Una pietra da 8,5 milioni di dollari così composta: 2500 dollari per ogni denunciante, il 30% della cifra ai legali impegnati nella causa ed il resto devoluto ad associazioni per la difesa della privacy ed all’educazione degli utenti nella gestione dei propri dati in rete.

La richiesta di Google è quella del perdono; la proposta è quella di mantenere le attuali impostazioni, garantendo però massima trasparenza nelle operazioni e massima informazione agli utenti sul modo in cui i dati sono gestiti dal gruppo, sono portati online e sono messi in condivisione in seguito alla variazione nel tempo dei servizi sviluppati dall’azienda.

L’ultima parola spetta ora al giudice che dovrà valutare la proposta di accordo (pdf) per sancirne la bontà, l’applicabilità e l’accettazione come via d’uscita dalla querelle legale in cui Google si è trovato invischiato.

Foto credit: Tracy O

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