Lunga vita a Gasparri

Il caso del senatore Gasparri e il suo spregiudicato atteggiamento su Twitter aiuta a comprendere un principio del Web: nessuno ha il diritto di esproprio.
Lunga vita a Gasparri
Il caso del senatore Gasparri e il suo spregiudicato atteggiamento su Twitter aiuta a comprendere un principio del Web: nessuno ha il diritto di esproprio.

Dopo l’ennesima esternazione del senatore Maurizio Gasparri, ancora una volta su Twitter (social sul quale vanta 54 mila follower) si è scatenata una furibonda polemica che invece di ironizzare sul politico stavolta ne chiede l’espulsione. Gasparri account sgradito per la community? Per quanto sia facile comprendere le ragioni di chi considera negativamente l’uomo e il politico, questa volta va difeso: difendendo il diritto di Gasparri ad essere quello è si conserva la natura del web 2.0.

L’uscita sgradevole del senatore del Pdl sulle cooperanti appena tornate dalla Siria dopo un sequestro durato sei mesi è ormai nota, così come la bufala che l’ha alimentata. Tutto quanto ormai ha assunto un valore che va oltre la miccia innescata dal senatore col suo atteggiamento riconoscibile ai più: una fonte poco autorevole, neppure riscontrata, utilizzata per rinfocolare una polemica senza preoccuparsi minimamente delle conseguenze delle proprie parole né della dignità delle persone coinvolte, riparandosi dietro un ipocrita punto di domanda. Eppure da molte ore si discute di questo tweet e, italicamente, ci si è già divisi tra pro e contro: sostenere la libertà di espressione è compatibile col chiedere la cacciata di questo profilo social?

La libertà di espressione non c’entra

La libertà di espressione, ovviamente, non c’entra nulla. Urlare “al fuoco!” in un cinema non è libertà di espressione, non c’è libertà senza responsabilità (altrimenti è anarchia) e una società libera e tollerante è quella dove si capisce che è necessaria una buona dose di tolleranza verso le opinioni che non condividiamo fino al limite oltre il quale questa tolleranza non incide prepotentemente nella vita di qualcun altro. Per tutte queste ragioni probabilmente Gasparri meriterebbe una forma di stigma sociale, ma il punto è: a cosa corrisponde uno stigma sociale su un social network? Sicuramente non cascare in una dinamica che finisce per aumentare il numero dei suoi follower.

Un-follow

No, Gasparri non deve andarsene da Twitter, anzi resti dov’è e parli sempre di più. Perché solo in questo modo, esponendosi, contribuisce ad assolvere l’autentica funzione della rete: aumentare il livello di conoscenza a proposito della sua persona. Solo consentendo di esprimersi liberamente un numero più alto di persone potranno capire se e quanto Gasparri ha torto o ragione. Internet tiene insieme tutto quanto, come dice il Cluetrain Manifesto e visto che questo spazio non appartiene a nessuno, tutti possono utilizzarlo, chiunque può migliorarlo.

Dunque, l’hashtag #GasparrifuoridaTwitter è un concetto sbagliato. Sono gli utenti del social che devono decidere se continuare a seguirlo e commentare ogni volta le sue uscite – contribuendo così al fenomeno – oppure smettere di farlo, resistere alla tentazione, orientarsi verso qualcosa di più bello e costruttivo lasciando che a rispondere al senatore sia l’eco delle sue parole. L’eco nel vuoto.

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