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Il Garante della privacy ha presentato a Roma la relazione che riassume un anno di attività: un 2016 denso di sfide, che vanno dal nuovo regolamento europeo al diritto all’oblio, dal privacy by design alla complessa questione dei trattamento dei dati personali nelle piattaforme globali. Un documento molto denso e importante, che parla di come siamo profilati e di come questo fatto va ogni volta esaminato, circostanziato, limitato ma anche concesso.
Il crimine informatico e la cybersicurezza; i social media; il cyberbullismo; la lotta al terrorismo e la sorveglianza di massa; i Big Data; la geolocalizzazione nel mondo del lavoro; la trasparenza della pubblica amministrazione; la tutela della riservatezza dei cittadini nelle vesti di pazienti, lavoratori, contribuenti, risparmiatori; il telemarketing; le intercettazioni e la protezione dei dati contenuti negli atti processuali; la tutela dei minori da parte dei media; i diritti dei consumatori; le grandi banche dati pubbliche; il mondo della scuola; il diritto all’oblio; le garanzie per il trasferimento dei dati negli Usa. Scorrere la Relazione annuale dell’attività del Garante (
#GarantePrivacy: il testo della Relazione sull'attività svolta nel 2016 https://t.co/sfta07264Q #GPDP17
— baldo meo (@meobaldo) June 6, 2017
Contenta che anche quest'anno @Montecitorio ospiti relazione annuale del Garante per protezione dati personali #privacy pic.twitter.com/FIn6kTNWOJ
— Laura Boldrini (@lauraboldrini) June 6, 2017
Gli interventi
Tra gli interventi più rilevanti, il Garante ha ricordato il lavoro fatto insieme a Google, la segnalazione a
L’identità personale rischia così di ridursi ad un profilo di consumatore, elettore, comunque utente che un algoritmo attribuisce a ciascuno, finendo per annullare l’unicità della persona, il suo valore, la sua eccezionalità. L’identità personale diventa una cifra per big data. La tutela della persona rispetto a queste forme di monitoraggio più o meno occulto del proprio comportamento in rete, è dunque indefettibile garanzia di libertà. Del resto, se ciò che per ciascuno è dato personale, intima essenza del sé, diviene per i grandi monopolisti del web dato economico da sfruttare commercialmente, le implicazioni in termini antropologici, ma anche sociali e politici sono eloquenti.
Una relazione molto bella, tra le più interessanti degli ultimi anni, probabilmente perché vede in controluce questi vent’anni di privacy (l’8 maggio 1997 entrava in vigore la prima legge sulla privacy), analizzando un anno particolare, bifronte: alla fine di una stagione, uno spartiacque importantissimo dove l’authority guarda sia al passato che al futuro, segnato dalle prossime regole europee che entreranno in vigore.
I numeri
Perché sempre il termine "allarme"?
Un bilancio con molti dati, altrettanti spunti, pacato, lungo, di prospettiva. Eppure i titoli dei giornali, oggi, parlano solo di allarmi: pedopornografia, "Grande Fratello" e via dicendo. Titoli che non sopravvivrebbero a un fact checking dei reali contenuti della relazione del Garante, in particolare del suo discorso (
È iniziata la gara al titolo più orrorifico sul male del web estrapolando frasi a caso dalla lucida e pacata relazione del #GarantePrivacy
— Carlo Blengino (@CBlengio) June 6, 2017
La relazione dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali non fa alcun riferimento con quei toni così banali ad "allarmi", sottolinea invece le grandi questioni in campo, anzi raccontando i risultati ottenuti lavorando sulle discipline, le garanzie, il dialogo coi player, seguendo le linee guida dei gruppi dell’Unione. Se il mainstream dev’essere sempre quello dell’allarme e dei titoli fuorvianti, inutile lamentarsi della disintermediazione e dello strapotere delle piattaforme di social media.