Forme di futuro

Dal 1984 al 2048 passando il presente, il primo evento al Teatro Verdi ha condensato tutto quanto seminato lungo il programma dell'Internet Festival.
Forme di futuro
Dal 1984 al 2048 passando il presente, il primo evento al Teatro Verdi ha condensato tutto quanto seminato lungo il programma dell'Internet Festival.

Cosa ci aspetta nel 2048? E guardando ad oggi, oppure altri 32 anni indietro, nel 1984, è possibile fare una storia del cambiamento che ancora dobbiamo vedere? Forme di futuro, l’evento principale di eri all’Internet Festival (trasmesso anche in streamings) ha condensato in un convegno-spettacolo di oltre due ore tutto quanto è seminato nel programma dei prossimi giorni. Se però si vuole trovare una domanda più urgente delle altre, è certamente quella su che tipo di democrazia ci attende: ristretta o allargata, sospesa o nuova?

Dopo la breve e bellissima lezione del professor Angelo Raffaele Meo, un pioniere dei software open source, membro storico del Cnr, che ha raccontato i fattori di moltiplicazione a sei zeri della potenza di calcolo dei microchip con la stessa levità col la quale ha ricordato la vignetta che preferiva quand’era bambino, “l’arcivernice del professor Lambicchi” (altro non era che l’anticipazione della stampa 3D a sua dire), il dibattito si è steso su due fronti: quello aperto da Lucia Annunziata, che ha parlato di prospettive politiche nell’idea di singolarità che ci aspetta, e quello della tavola rotonda nella quale Matteo Bordone ha gestito due tensioni opposte, l’ottimismo degli scienziati Cecilia Laschi e il giovanissimo Valerio Pagliarino, e l’inquietudine di Dino Amenduni ed Andrea De Benedetto che a proposito di clima politico ed economia del 2048 hanno qualche timore e tremore.

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Il parterre di ieri al Teatro Verdi, uno dei luoghi centrali del Festival quest’anno, dove si ospitano gli eventi in diretta streaming. Durante “Forme di futuro”, sono intervenuti (da sinistra): Matteo Bordone, Valerio Pagliarino, Andrea De Benedetto, Dino Amenduni, Cecilia Laschi. Prima di loro, ha parlato Lucia Annunziata, che ha sorpreso la platea parlando del video-testamento di Gianroberto Casaleggio, confessando un particolare interesse per il cofondatore del Movimento Cinque Stelle.

Ci aspettano guerre o una società pacificata?

Do fronte ai grandi cambiamenti l’umanità ha mostrato di avere pessime reazioni. L’invenzione della stampa ha scatenato le guerre di religione e spaccato l’Europa per più di un secolo; la scoperta dell’acciaio ha potenziato l’uomo, l’ha spostato così velocemente da un punto all’altro da aver posto le basi per quel conflitto tra uomo e Capitale che è durato fino d oggi. La Rete sembra avere le stesse qualità, la capacità di stravolgere i rapporti di forza di uomini e strutture geografiche, politiche, economiche. «Al netto degli errori occidentali», spiega la Annunziata, «la crisi del Medioriente è iniziata quando dopo decenni l’uomo più ricco del mondo non è stato più il sultano del Brunei ma Bill Gates: un certo potere rientrava nell’ambito occidentale, le società fondate sulle royalties del petrolio non riuscivano più a sostenere lo stato sociale, pressato da un boom demografico e dall’attrazione verso Internet come simbolo di libertà». Da qui le primavere arabe, finite male, da qui la reazione ferrea di Cina, Iran, società “monoteiste” che sospettano dell’occidente. «I soldi del petrolio sono stati investiti in finanza, operazioni immobiliari, ma il punto è che era finito un modello e di fronte alle nuove regole il medioriente ha reagito come sappiamo, facendo esplodere l’antico conflitto sunniti-sciiti».

Stando a questa visione, secondo Lucia Annunziata potrebbe avere senso l’ultimo video di Gianroberto Casaleggio, che ipotizza un futuro di macchine più intelligenti dell’uomo che le ha costruite, fino al momento in cui sarà la materia inerte a stupirsi che la carne possa essere senziente, cioè esattamente il contrario di quel che comunemente si pensa oggi. Ma è questa visione a fornire un briciolo di ottimismo, «perché se la carne è la base di tutto, penso che il fattore umano mai si perderà e forse ci consentirà di non estinguerci».

Difficile prevedere la società del 2048, se sarà in guerra, come capitato in passato, oppure sarà un’epoca di pace, magari proprio grazie ai robot intelligenti insieme al fattore umano. È in generale difficile ragionare sul tempo. Certamente, secondo Amenduni, abbiamo bisogno di un set ideologico di valori e regole nettamente diverse, di macroconcetti, perché ogni nostra rivoluzione tecnica, come quella della fabbrica 3D che di fatto produrrà oggetti in abbondanza ma personalizzati e a costo basso che andranno a trovare il luogo migliore dove essere assemblati e riparati, porta con sé una discussione del modello attuale di distribuzione della ricchezza. Senza idee importanti su dove vogliamo andare, «c’è il rischio concreto che le persone sottostimino la democrazia, la privacy, e pretendano soltanto la propria sicurezza anche a detrimento delle uguaglianze».

Eppure come si fa a non restare a bocca aperta quando Cecilia Laschi racconta il suo lavoro di Bioingegneria Industriale all’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna? Loro hanno cambiato il punto di vista sui robot: invece di partire dalla sola logica, per creare macchine intelligenti bisogna ispirarsi alla natura, alle infinite modalità con le quale la biologia risolve problemi in modo automatico, senza appesantire il calcolo. Da qui nasce la soft robotics, ambito nel quale gli italiani sono all’avanguardia. Stupore che nasce anche ascoltando Valerio Pagliarino, uno studente che a sedici anni ha creato il progetto LaserWAN, una tecnologia che sfrutta le linee dell’alta tensione percorse da particolari raggi laser per portare la fibra ottica anche nelle zone più isolate. Progetto premiato a livello europeo. Per lui cloud computing, IoT, AI, self driving, medicina, nanorobot alimentati da molecole energetiche, sono scenari straordinari di una società potenzialmente migliore di questa. Attenzione, però: anche per lui «dovremo imparare, e presto, a distinguere ciò che si può fare da ciò che è lecito fare». Forse sono sue le parole che meglio definiscono lo spirito del Festival in questa edizione.

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