Due emendamenti per imporre le tasse a Google

Due emendamenti sono stati presentati dal Partito Democratico per impedire alle multinazionali come Google di eludere le tasse sul territorio italiano.
Due emendamenti per imporre le tasse a Google
Due emendamenti sono stati presentati dal Partito Democratico per impedire alle multinazionali come Google di eludere le tasse sul territorio italiano.

Il Partito Democratico intende portare avanti una iniziativa che, sebbene non sembri orientata ad arrivare immediatamente ad una soluzione, si pote quantomeno l’obiettivo di far riflettere il Governo sulla necessità di intervenire sul mercato delle grandi multinazionali che operano in Italia tramite sedi estere. Google diventa immediatamente capro espiatorio della situazione (svilendo così in parte la bontà della proposta), ma il problema sembra essere ben più vasto: l’Italia deve riflettere circa quegli spiragli che consentono alle grandi aziende di operare legittimamente sul territorio italiano devolvendo però al fisco soltanto poche briciole degli affari maturati.

Che la proposta riguardi però direttamente il caso Google (nonché Facebook di rimbalzo) è fuor di discussione. Recita infatti l’emendamento presentato dall’onorevole Ernesto Carbone (PD) alla delega fiscale: «prevedere che chiunque venda campagne pubblicitarie on-line erogate sul territorio italiano, debba avere una partita Iva italiana, ivi incluse le operazioni effettuate mediante i centri media e gli operatori terzi». Un emendamento che punta dritto all’azienda di Mountain View, la quale vende pubblicità in Italia ma per tramite di aziende estere grazie alle quali viene pesantemente migliorato il regime fiscale a cui sottostare.

Operare in Italia con Partita IVA italiana sarebbe per le multinazionali un grave danno in quanto passerebbero da un regime fortemente agevolato ad uno unanimamente ritenuto come eccessivamente oneroso. Alcune stime indicano in circa 800 milioni di euro il mancato gettito all’Erario a seguito della “fuga” dei capitali tramite dislocazioni in altri paesi con regimi fiscali di comodo: la proposta punta a questo “tesoretto”, cercando di riportare in Italia parte di quello che è considerato un maltolto. Il tutto si inserisce peraltro in una coda polemica che va ben oltre i confini italiani, trovando appoggi dalla Turchia al Regno Unito, fino ad arrivare alle polemiche già registrate anche in Australia. Tuttavia l’emendamento appare troppo “mirato” per poter andare a buon fine, rischiando così di esplodere con l’unico merito di aver imposto nuovamente una riflessione sul tema. Una nuova, ennesima, provocazione per smuovere le acque.

Un secondo emendamento proposto sul caso sembra guardare più in generale alla situazione, esaltando la pungente provocazione rappresentata dal primo testo presentato. Carbone chiede infatti che il paese introduca «sistemi di tassazione delle imprese multinazionali basati su adeguati sistemi di stima delle quote di attività imputabili alla competenza fiscale nazionale». L’importante, insomma, è che Google e le altre multinazionali devolvano alle casse erariali quanto giusto, senza rifuggire alle tasse grazie a situazioni di comodo tra i confini dell’Unione Europea.

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