Designer sfata le leggende su Apple e Steve Jobs

Mark Kawano, ex designer Apple, ha voluto sfatare cinque miti sul lavoro in quel di Cupertino, dalla progettazione creativa alla figura di Steve Jobs.
Designer sfata le leggende su Apple e Steve Jobs
Mark Kawano, ex designer Apple, ha voluto sfatare cinque miti sul lavoro in quel di Cupertino, dalla progettazione creativa alla figura di Steve Jobs.

Ciò che accade quotidianamente in quel di Cupertino potrebbe differire da quanto percepito dall’opinione pubblica. Sono infatti diverse le leggende che circolano sui processi creativi di Apple e sulla sua dirigenza, molte delle quali si basano sulla più totale mancanza di controprove. È quanto rivela in un intervista Mark Kawano, ex designer di punta della Mela oggi fondatore di StoreHouse. E, al contrario delle dichiarazioni al fulmicotone di recente pubblicate da ex dipendenti e grafici, le parole di Kawano assolvono l’azienda.

Non si può dire che il designer parli senza cognizione di causa: oltre a essere rimasto in Apple per ben 7 anni, è stato a stretto contatto con i personaggi di punta della Mela per realizzare software come Aperture e device come iPhone. In un’intervista per FastCompany, Kawano ne ha approfittato per sfatare quattro miti sull’azienda di Cupertino.

Il primo riguarda proprio il design, più in particolare quel numero di pochi creativi che sarebbe alla base del successo della società. Sebbene non sia citato, il riferimento forse è a Jonathan Ive e ai suoi protetti: a quanto pare, non sarebbero solo poche persone a guidare le innovazioni in quel della California, ma la società nel suo complesso.

«È in realtà la cultura ingegneristica, e il mondo con cui l’organizzazione è strutturata, ad apprezzare e supportare il design. Tutti pensano all’UX e al design, non solo i designer. Ed è questo che rende migliori i prodotti, più di qualsiasi singolo designer o team di design.»

Mark Kawano

Mark Kawano

In altre parole, chiunque partecipi alla creazione di un prodotto Apple ha il design come obiettivo ultimo, anche quei dipendenti che con questo ambito non hanno direttamente a che fare. Questo primo mito porta direttamente al secondo, ovvero alla quantità industriale di personale che Apple impiegherebbe sul singolo progetto. Kawano spiega invece come la Mela preferisca i gruppi più ristretti, al massimo di 100 persone, una quantità di teste pensanti ben inferiore rispetto agli standard dei concorrenti. Una simile scelta permette un maggiore focus sull’idea da realizzare, riduce le interferenze e, ovviamente, mette sempre il design al centro.

Un’attenzione al dettaglio che fa da traghetto al terzo mito, ovvero quella della rigidità lavorativa del gruppo. Gli esperti sostengono spesso, infatti, che la Mela segua processi creativi meccanici, prestabiliti, con verifiche rigorose e paletti ben definiti proprio per evitare che anche il più piccolo dettaglio venga trascurato. In realtà, Kawano spiega come le innovazioni più geniali spesso nascono dai momenti di gioco e di svago tra designer e ingegneri. Il tremolio della schermata di iPhone quando si inserisce una password sbagliata, ad esempio, è nato proprio in uno di questi momenti di bassa concentrazione. Ed è rapidamente diventato uno dei marchi di fabbrica di iOS: informa l’utente di un errore, senza subissarlo di comunicazioni testuali o perdite di tempo. D’altronde, come il designer stesso spiega, «è impossibile arrivare a un prodotto davvero innovativo quando si ha una deadline e uno schema».

Infine, non può mancare un accenno a Steve Jobs, il compianto iCEO che il fondatore di StoreHouse ha imparato a conoscere bene. La passione dimostrata dal leader di Apple, spesso definita aggressiva e terrorizzante dalla stampa, sarebbe stata del tutto fraintesa. A quanto pare, la scarsa pazienza dell’iCEO non si sarebbe abbattuta sull’intera società come un incontenibile uragano, semmai Jobs avrebbe dimostrato poca tolleranza per chi non ha saputo dimostrare impegno o di aver a cuore la mela morsicata. Il co-fondatore di Apple può essere sembrato dall’estero esigente, intransigente e maniacale nelle sue manifestazioni, tanto da regalargli quella cattiva fama più volte rispolverata sui media. Eppure l’iCEO viene definito dal designer come “super-accessibile”, anche da chi non ricopre posizioni di rilevo nell’azienda. E avrebbe sempre mantenuto uguaglianza e democraticità, nonostante il carattere sui generis:

«Pretendeva moltissimo, ma voleva essere anche molto democratico e trattato come tutti gli altri. È stato costantemente in lotta con i suoi ruoli».

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