I documenti relativi al caso Ruby sono comparsi sul Web. Questa volta, però, Wikileaks non ha nulla a che vedere con le pubblicazioni. Tra il Cablegate ed il Rubygate, però, v’è un parallelismo interessante che aiuta a comprendere quali siano i ruoli e le responsabilità nel momento in cui un documento, teoricamente segreto, diviene di semplice accesso per chiunque sappia usare un mouse ed abbia una connessione al Web.
I documenti della Procura di Milano sono stati inviati alla giunta per le autorizzazioni della Camera: 389 pagine in tutto contenenti nomi, dati personali ed intercettazioni sul caso che sta facendo discutere l’Italia intera (e non solo). Se il mondo intero ha imparato a conoscere Wikileaks negli ultimi mesi proprio grazie al suo lavoro di pubblicazione dei documenti più scomodi e segreti che si sono riusciti ad ottenere, l’Italia conosce in queste ore una dinamica del tutto simile, ma con fonti differenti.
In Italia il documento è stato pubblicato anzitutto su Dagospia: chi lo ha prelevato ha fatto in modo che il sito più “chiacchierone” d’Italia potesse averlo in anteprima. A questo punto non v’è più possibilità alcuna di fermarne le pubblicazioni: il file è stato caricato su SlideShare e liberamente consultabile da chiunque, ed inoltre il file medesimo starebbe anche circolando tramite file Torrent su canali P2P alternativi alla semplice pubblicazione su sito Web. Ed è questa una disponibilità preziosa per soddisfare la curiosità di quanti intendono mettere mano alla fonte originaria della notizia: i media pubblicano in queste ore stralci e riassunti, commenti e analisi, ma la lettura diretta del documento è qualcosa che offre esperienza e sensazioni del tutto differenti.
Quel che l’Italia sta toccando con mano in queste ore è una dinamica naturale: una volta portato un file sulla Rete, non c’è modo di fermarne la pubblicazione. Tanto accanimento contro la Rete come quello sperimentato in passato, insomma, non ha più senso alcuno: il Web non può essere responsabile dei contenuti che veicola e la caduta di un segreto dovrebbe pertanto veder sotto processo il meccanismo che ha fatto sì che il segreto stesso cadesse. Tutto il resto è soltanto un passaparola naturale del quale lo strumento non ha colpa.
Alla luce di questi accadimenti occorre rivedere anche il concetto di Wikileaks, perchè il confronto altrimenti non regge. Il movimento di Assange, infatti, non è sotto osservazione soltanto in qualità di elemento di distribuzione, ma è anche identificato come chiave di stimolo per far sì che i documenti “scomodi” possano fuoriuscire dai server per diventare di pubblico dominio. Wikileaks raccoglie in un movimento solo quel che il caso Rubygate ha visto in Dagospia, SlideShare e Torrent. Di Wikileaks non si teme soltanto l’eco, ma anche il ruolo nello stimolare la fuga delle notizie dalle ambasciate, dai luoghi di scontro bellico o dai server degli istituti bancari.
Un documento della Procura della Repubblica è oggi sotto gli occhi di tutti gli italiani. Può essere letto, condiviso, commentato, o se ne si può fare addirittura l’embed. Dal segreto alla piena disponibilità il passo è estremamente breve, ed in tutto ciò la Rete ha un ruolo proprio ed indispensabile. Ma come sempre è questo un ruolo meramente strumentale, che non va responsabilizzato né con meriti, né con colpe: è l’uomo a far della Rete ciò che ritiene utile.
Così è stato per il Cablegate. Così è oggi con il Rubygate. Così sarà sempre, finchè c’è Net Neutrality.