Che pastrocchio la legge sul cyberbullismo

È corsa contro il tempo per tornare al testo di legge originale, modificato ad arte in piena estate, secondo il solito vizio: colpevolizzare la Rete.
Che pastrocchio la legge sul cyberbullismo
È corsa contro il tempo per tornare al testo di legge originale, modificato ad arte in piena estate, secondo il solito vizio: colpevolizzare la Rete.

Non c’è quasi più tempo. La clessidra sta per esaurire la sabbia, caduta dalle intenzioni originali a quelle palesemente cattive impresse nell’ultima versione approvata. Sul cyberbullismo è stato detto e fatto di tutto in questo Paese, ora però mancano pochi giorni al 13 settembre, quando la Camera dei deputati voterà una proposta di legge, con il parere favorevole dei relatori di maggioranza, e ci sarà una battaglia perché molti, persino chi l’ha voluta per prima, considerano questa ultima versione un autentico disastro. Destinato a restare lettera morta oppure, nell’ipotesi peggiore, a ingolfare completamente il sistema di controllo pubblico su questo fenomeno.

La proposta di legge arrivata alla Camera, è un testo nato a seguito della morte di Carolina Picchio e che vede prima firmataria la senatrice del PD Elena Ferrara, ma è stata stravolta negli intenti originali lo scorso 27 luglio, quando i due relatori delle commissioni riunite, Micaela Campana e Paolo Beni, hanno fatto approvare una serie di emendamenti che la stessa ideatrice del testo considera peggiorativi. In cosa consiste la differenza? Lo spiega la stessa Ferrara in un suo post:

Il ddl è stato profondamente modificato nelle commissioni Giustizia e Affari sociali innescando una reazione di esperti e organi di informazione che l’hanno definito “una norma ammazza web”. In sostanza si evidenzia che qualsiasi attività, fosse pure isolata, compiuta dai cittadini, anche maggiorenni, sul web conferisce la possibilità a chiunque di ordinare la cancellazione di contenuti sgraditi per i trasgressori, oltre che la rimozione e l’oscuramento dei contenuti con sanzioni sino a 6 anni di carcere. La legge prenderebbe quindi una direzione che la allontana dal testo originale immaginato prima, e redatto poi, per la tutela dei minori sia vittime che bulli e per la diffusione di un’educazione digitale.

Siamo alle solite: incolpano la Rete

È successa una cosa piuttosto grave, sintomo di una volontà che va compresa nelle sue reali intenzioni. Per quale ragione, infatti, estendere così tanto il concetto di cyberbullismo (già piuttosto nebuloso di suo e forse inutile) fino a comprendervi una serie di reati già previsti nei codici? Nella versione attuale, risultato delle ultime modifiche, per cyberbullismo si intende di tutto un po’:

La realizzazione, la pubblicazione e la diffusione online attraverso la rete internet, chat-room, blog o forum, di immagini, registrazioni audio o video o altri contenuti multimediali effettuate allo scopo di offendere l’onore, il decoro e la reputazione di una o più vittime, nonché il furto di identità e la sostituzione di persona operate mediante mezzi informatici e rete telematica al fine di acquisire e manipolare dati personali, nonché pubblicare informazioni lesive dell’onore, del decoro e della reputazione della vittima.

E per quale ragione un testo emendato prima delle vacanze è stato iscritto all’ordine del giorno subito a settembre? Si sente parlare di urgenza, è un tema che sensibilizza l’opinione delle persone meno informate, che poco capiscono di Internet, che sono colpite, magari perché genitori, dalle storie delle vittime del bullismo. Un esempio è il servizio del TG1 con l’intervista al padre di Carolina andato in onda poche settimane fa (video) che si concludeva con un appello a stringere i tempi per la legge.

Se però si guarda con attenzione al testo, si scova lo stesso identico refrain che torna ciclicamente nelle proposte di legge di un Parlamento italiano che proprio non resiste, ogni volta che decide di legiferare, alla tentazione di metter mano pesantemente al funzionamento della rete invece di concentrarsi, come tutti, disperatamente, suggeriscono da almeno un decennio, sull’educazione. Webnews lo ha definito il “rumore dei nemici” e questa legge sul cyberbullismo, che ormai è diventato un testo generico e mostruoso sull’hate speech senza distinzione d’età, ne è un altro esempio.

L’appello dei giuristi e gli emendamenti

Per cercare di fermare questo testo, passato dalle commissioni a Montecitorio senza troppa attenzione forse anche per un equivoco di fondo, si stanno adoperando tutti quanti, dentro e fuori l’aula, hanno sempre lavorato per evitare il peggio. Stefano Quintarelli e altri componenti dell’Intergruppo per l’Innovazione hanno già annunciato il tentativo in extremis (forse ormai impossibile) di tornare in commissione; in ogni caso stanno lavorando a degli emendamenti.

Ad altri emendamenti ha lavorato anche un gruppo di giuristi ed esperti per aiutare diversi parlamentari a capire come si potrebbe modificare il testo prima di approvarlo nell’ultima occasione possibile, alla Camera.

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È stato anche preparato un appello ai decisori politici perché fermino l’iter della legge. Diverse associazioni esprimono perplessità e preoccupazione ed evidenziano i problemi principali del testo:

  • Una definizione non chiara di cyberbullismo;
  • L’introduzione dell’art. 612-bis dell’aggravante dello stalking commesso via Internet che in pratica ne fa una legge per adulti, un doppione;
  • Il concetto – già visto anche nella riforma sulla legge della Stampa – per cui si scaricano su gestori e siti online gli adempimenti burocratici e pure la comprensione della richiesta dell’utente, coi rischi connessi di eccessiva faciloneria a schiacciare il bottone “oscura”;
  • La quantità inimmaginabile di contenziosi prodotti da un numero esorbitante di tavoli di coordinamento, soggetti coinvolti, responsabilità del Garante privacy secondo uno schema che copia il diritto all’oblio senza averne gli strumenti.

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