Confindustria: no ai filtri, sì alle garanzie

Confindustria Cultura Italia commenta la sentenza della CURIA contro i filtri preventivi alla Rete: si garantisca la possibilità di intervento.
Confindustria: no ai filtri, sì alle garanzie
Confindustria Cultura Italia commenta la sentenza della CURIA contro i filtri preventivi alla Rete: si garantisca la possibilità di intervento.

«La decisione odierna della Corte di Giustizia sul caso Scarlet Extended SA, un fornitore di accesso a Internet, e la SABAM non ha nulla a che fare con il rispetto della legalità su internet». Con queste dichiarazioni di Marco Polillo, presidente di Confindustria Cultura Italia (ossia il sindacato che pone sotto lo stesso cappello nomi quali AESVI, AFI, AGIS, AIE, ANES, ANICA, APT, FEM, FIMI, PMI ed Univideo), non solo l’Italia prende posizione nei confronti della sentenza odierna della CURIA, ma alza anche i toni attorno ad una questione che identifica uno snodo fondamentale nella giurisprudenza sul copyright.

Confindustria Cultura Italia vede nel pronunciamento della Corte una conferma del fatto che sia lecito e naturale combattere contro gli illeciti online, pur fatto salvo il necessario accertamento degli illeciti stessi. E l’intervento giunge anche in supporto delle posizioni che l’AGCOM sta intraprendendo in queste settimane in favore di un intervento più radicale di tutela del copyright sulla Rete: «Questa decisione dovrebbe confortare anche l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni italiana che ha intrapreso la giusta strada dei provvedimenti interdittivi solo dopo l’adeguato confronto e l’accertamento degli illeciti».

Polillo smarca le posizioni di Confindustria da quelle della SABAM: «Nessuno vuole imporre obblighi di sorveglianza e filtraggi preventivi della rete internet […]. Chiediamo tuttavia con forza che, ove riscontrate violazioni gravi e sistematiche del diritto d’autore, le Autorità competenti, e quindi anche l’AGCOM, possano intervenire tempestivamente per porre fine alle violazioni. In Italia, come all’estero». Quel che si rivendica è pertanto il diritto al website blocking, considerata una misura “non invasiva” che, sulla base di accertamenti preventivi, consente di portare alla chiusura di siti dichiaratamente in violazione con le normative. Da sempre vicina ai teoremi AGCOM, Confindustria Cultura Italia dovrà ora nuovamente spiegare le proprie posizioni assieme a quelle dell’Authority, poiché l’allineamento con l’UE non appare del tutto limpido ed una mediazione andrà giocoforza trovata sulla base di una sentenza che grida in tutto il continente il proprio principio di ricerca dell’equilibrio tra i diritti.

Confindustria Cultura Italia usa i casi Pirate Bay e Btjunkie come esempi per dimostrare come l’inibizione dell’accesso ai siti sia «lo strumento più efficace per contrastare gli illeciti e l’abusivismo in rete». Ogni strumento andrà però ora rivalutato alla luce della sentenza della Corte di Giustizia Europea poiché, a partire dall’Hadopi e passando per il blocco dei domini (vedi casi Moncler e Italian Share), i casi dubbi sono più d’uno. Ed il quadro interpretativo vede ora comparire un nuovo fondamentale tassello che cambia in parte l’orizzonte fin qui tracciato.

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