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Ci sono buone ragioni per ritenere che la Gran Bretagna sia e sia stata vittima di attacchi informatici patriottici da parte di hacker cinesi, anche se le autorità di parte negano per il momento tutto.
È stato il Guardian a dare la
Andrew McKinlay, deputato del partito laburista, si è pronunciato con forza sul diritto della popolazione di sapere cosa sia successo e in particolare di essere messi al corrente se il paese sia o meno sotto quello che ha definito un «attacco patriottico», cioè uno di quegli attacchi dove il bersaglio sono i punti nevralgici dell’amministrazione statale. Ma dopo le ripetute reticenze del governo a commentare, McKinlay si è trovato a dover dichiarare: «sono molto frustrato. Chiaramente il governo ha deciso che non commenterà quanto è accaduto. Le mie domande erano palesemente sgradite. Purtroppo questo accade in un settore in cui la politica estera britannica è molto debole. Cercano una pacificazione con i cinesi. Ma dovrebbero essere molto più duri».
L’unico pronunciamento in materia fatto da esponenti del governo è stato quello del portavoce del primo ministro che, interrogato sul fatto se il primo ministro fosse o meno preoccupato del fatto che un paese o degli individui stiano perpetrando attacchi informatici alla nazione, ha risposto: «il governo ha pronte delle procedure e dei meccanismi per affrontare questo tipo di problemi».
Al momento la teoria più plausibile tra quelle avanzate, per il parere dello stesso Guardian, è che l’atto commesso dagli hacker cinesi, se è stato un esempio di attacco patriottico, ha avuto l’unico scopo di dimostrare il potenziale di quella che a tutti gli effetti può essere un’arma.