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Cosa rende una città "intelligente"? La prima risposta di tutti gli esperti è la mobilità. Se è vero che molto presto saranno i Big Data prodotti dagli oggetti connessi sparsi in ogni dove a rappresentare la materia prima della smart city, il modo integrato in cui si consente alle persone di muoversi al suo interno fa di ogni città un modello. Più o meno valido, soprattutto a seconda della sua sostenibilità, cioè del consumo di energia e di risorse.
Per quale ragione non può esserci smart city senza una mobilità innovativa? Perché se non c’è una rete stradale intelligente, costruita in modo che si possano analizzare i flussi di traffico come si analizzano i fluidi, non c’è una città intelligente. Semafori e segnaletica, videocamere, tutto quanto consente di creare un ecosistema di IoT è alla base dell’implementazione smart di una città. Certo, però ci deve essere qualcuno dall’altra parte, si devono saper interpretare i dati e non piegarsi all’uso smodato di tecnologie senza una coordinazione, che non farebbe altro che moltiplicare le fonti di dati senza convogliarli, perdendo moltissimo del loro valore e soprattutto sprecando denaro. I Big Data, infatti, sono tanto più validi quanto più sono aperti e ibridati fra loro. Chiusi nei rispettivi sistemi di produzione, invece, non servono quasi a nulla, come da qualche anno va raccontando in giro per l’Italia Michele Vianello.
I progetti italiani
Parlare di smartcity in Italia significa in realtà parlare di progetti, di idee. La città di
Anche Roma ha un progetto specifico di mobilità intelligente, concentrato in particolare sul trasporto pubblico. Il progetto
Il luogo dove ogni anno si raccolgono le esperienze di smart city è la fiera di Bologna, alla
La rivoluzione dei dati
Come monitorare in real time lo stato del traffico e la qualità dell’aria? Quali parametri aiuteranno a rendere più sicure le auto, le case, le città intere? Le risposte sono nella data revolution alle porte, composta di tre grandi voci:
- Fonti: La città ha un patrimonio di dati potenzialmente enorme. Ci sono i dati relativi al funzionamento, dai bilanci economici alle statistiche restituite sotto forma di Open Government. Si entra nell’ambito più propriamente smart quando ai dati di funzionamento si aggiungono quelli prodotti dai sensori distribuiti, gli IoT: ascensori, semafori, le strade stesse, e naturalmente lo smartphone di ogni cittadino. Cittadini che sono oggetto anche della sentiment analysis, la quale produce a sua volta report sulla soddisfazione che incrementano soluzioni. Data driven decision.
- Modelli: Materia per specialisti: costruire una dashboard facile per visualizzare i dati secondo un modello intelligente. Se si sbaglia il modello, non si trova quel che si cerca e si trovano cose che non hanno significato.
- Tecnologie: Un altro tema delicato, le forniture tecnologiche di cui dispongono o vorrebbero disporre le città. I sensori, tornelli, impianti, costano, se non ci sono già è necessario scavare per le infrastrutture di trasporto dei dati – non tutto è wireless – e bisogna investire in storage e molto spesso anche in sviluppo di applicazioni. Anche per questo le municipalità cercano accordi con le startup del territorio. Un buon esempio è [!] Ci sono problemi con l'autore. Controllare il mapping sull'Author Managernel trentino, che gestisce i pagamenti del trasporto pubblico di 530 mila utenti. La pubblica amministrazione ha risparmiato denaro pubblico lasciando i dati agli sviluppatori e coinvolgendo attori di terze parti.
Vianello: a volte una metro è smart
Michele Vianello, autore di diversi saggi sulle smart city, ha capito già diversi anni fa che Internet è destinato a cambiare il contesto urbano, e che l’unico ostacolo alla costruzione di città migliori è che le governance locali sono indifferenti oppure subiscono il fascino dell’innovazione senza consapevolezza finendo per non trarne tutti i benefici. Le città comunque, sono destinate ad essere il luogo delle sfide dell’umanità nel 21esimo secolo: sostenibilità ambientale e integrazione culturale, in primis, si declineranno a seconda di come saranno fatte nelle città, dove ormai vive più della metà della popolazione mondiale.
Per Vianello la smart city non è però una città piena di dispositivi, ma una città che si pone subito una domanda: chi decide attraverso quali processi una città diventa intelligente? La risposta meno imprecisa, in un dibattito ancora molto teorico, è che la decisione spetta a coloro che hanno la visione di aprire i dati di default, sia pubblici che privati. Open data by default. Il formato aperto dei dati è la premessa per l’organizzazione dei dati secondo una equa redistribuzione che riconosce che gran parte di essi è prodotta dai cittadini.
«Non posso dire che esistano smart city in Italia, al momento», racconta l’ex vice sindaco di Venezia e direttore di Vega, «perché sugli open data siamo in ritardo. Tuttavia, se la domanda è dove si trovano città intelligenti, la mia risposta è che io trovo la metropolitana di Milano molto intelligente». La città è sempre stata intelligente o stupida a seconda di come si rapporta col cittadino ma soprattutto da come intuisce che quel rapporto genera un valore economico. «La città intelligenze è la fine delle nostra certezza, e della società fordista». Luoghi fisici e immateriali si confonderanno nella future città intelligenti, così come il concetto stesso di lavoro. E tutto questo passa sempre dalla mobilità. Auto, taxi, bus, tram, metro, e poi le piattaforme di sharing, in un unicum.