Cina, 10 anni per un cyber-dissidente

Un nuovo dissidente è stato mandato dietro le sbarre dalle autorità cinesi. Il reato contestato è l'intento sovversivo palesato in un articolo pubblicato in rete nel quale si incoraggia alla violenza contro la tirannia del regime instaurato in Cina
Cina, 10 anni per un cyber-dissidente
Un nuovo dissidente è stato mandato dietro le sbarre dalle autorità cinesi. Il reato contestato è l'intento sovversivo palesato in un articolo pubblicato in rete nel quale si incoraggia alla violenza contro la tirannia del regime instaurato in Cina

La Cina continua a rimanere nell’occhio del ciclone a causa dell’ennesimo caso di reato d’opinione avvenuto online e balzato alle cronache a seguito di sentenze molto pesanti nei confronti degli accusati. Nel caso specifico a subire la condanna è Ren Ziyuan, professore 27enne reo di aver pubblicato su un sito web un’opinione giudicata come sovversiva.

Ziyuan si aggiunge dunque alla lista dei 53 cyber-dissidenti dietro le sbarre già contati da “Reporter senza frontiere”, 47 dei quali nella sola Cina. «L’agenzia non governativa per la salvaguardia dei diritti umani in Cina ha detto che nello scritto l’autore affermava che i cittadini hanno il diritto di rovesciare con la violenza i governi tirannici»: così Reuters spiega il caso indicando nell’articolo «The road to democracy» quanto addebitato a Ziyuan. Quest’ultimo non avrebbe ammesso la propria colpevolezza (estesa inoltre alla presunta organizzazione dell’ipotetico movimento sovversivo “Mainland Democracy Frontline”) ed avrebbe annunciato di voler ricorrere contro la prima sentenza.

Nel perpetrare il proprio fermo monitoraggio censorio della rete, la Cina ha messo in seria difficoltà gruppi quali Microsoft, Google e Yahoo: trovatisi tra l’incudine ed il martello, nella necessità di estendere il proprio mercato oltre la muraglia, i motori hanno infatti collaborato con le autorità cinesi fornendo dati circa i dissidenti ricercati. Tale comportamento ha creato grave imbarazzo in occidente dove già i movimenti per i diritti dell’uomo hanno puntato il dito contro la mancata libertà d’opinione nel paese orientale.

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