Rilasciata la CFO di Huawei ma i dubbi restano

La CFO di Huawei, Meng Wanzhou, è stata rilasciata su cauzione ma gli USA ancora non spiegano i motivi del suo arresto: la guerra alla Cina non regge.
Rilasciata la CFO di Huawei ma i dubbi restano
La CFO di Huawei, Meng Wanzhou, è stata rilasciata su cauzione ma gli USA ancora non spiegano i motivi del suo arresto: la guerra alla Cina non regge.

La CFO di Huawei Meng Wanzhou, arrestata in Canada il 1 dicembre su richiesta degli Stati Uniti con l’accusa di aver violato le sanzioni contro l’Iran, è stata rilasciata su cauzione. La spesa totale ammonta a 10 milioni di dollari, di cui 7,5 milioni per il vero e proprio rilascio.

Durante un’udienza del 7 dicembre, Meng si era offerta di indossare un braccialetto alla caviglia per consentire un monitoraggio 24 ore su 24, a patto di poter uscire dal carcere dove, secondo fonti, le maniere con cui era trattata sembra non fossero delle migliori. Dopo aver considerato la questione, e appurato che Meng non era a rischio di fuga, il giudice del caso, del tribunale di Vancouver, ha dato parere positivo sul pagamento della cauzione e liberazione, pur sotto sorveglianza.

Cosa succede

Sono in tutto 15 le condizioni che la CFO deve soddisfare fino almeno al 6 febbraio, data della prossima udienza che, secondo la giustizia statunitense, potrebbe costarle ben 30 anni di carcere per la presunta violazione delle sanzioni imposte dal governo di Washington nei confronti delle compagnie che, anche straniere ma operanti sul territorio americano, fanno affari con stati considerati nemici, come l’Iran e al Corea dl Nord. Oltre al suddetto monitoraggio, Meng ha dovuto consegnare tutti i suoi passaporti e restare nella casa che le è stata assegnata a Vancouver dalle 23:00 alle 6:00.

Dubbi sull’operato

Huawei ha una lunga e travagliata storia con gli USA. Tra accuse di furto di proprietà intellettuale e dubbi circa la sicurezza nazionale che verrebbe meno qualora venissero issate le infrastrutture per la rete 5G, Trump ha sferrato più di un colpo al conglomerato di Shenzen.  L’amministrazione guidata dal tycoon ha avviato un’indagine su come il governo cinese sostiene le sue imprese tecnologiche, imponendo pesanti tariffe e dazi su centinaia di prodotti importati dal paese asiatico. E mentre il mondo si prepara all’adozione diffusa del 5G, Washington ha deciso di bannare, invitando a farlo anche gli alleati, l’hardware di Huawei, preferendo quello di altre compagnie.

Mirare in alto

Non è difficile vedere dietro la battaglia odierna delle mire strategiche fortemente impregnate di politica. Come avvenuto per Kaspersky, mai nessuna agenzia ha descritto per bene e nel concreto le prove di concussione delle multinazionali con governi ben precisi, come la Russia o la Cina. Certo è che fa molto comodo eliminare figure del genere, così prominenti, dal proprio mercato, preferendo soggetti interni. Si tratta di una linea che potremmo considerare ottusa, almeno dal punto di vista di Huawei.

Come può, il secondo venditore di smartphone al mondo e il primo fornitore di apparecchiature per le connessioni di rete, non raggiungere, anche indirettamente, paesi ostili agli USA? A quel punto bisognerebbe mettere in prigione anche partner, collaboratori, la rete del canale. Più che combattere le compagnie considerate ostili, Trump dovrebbe incentivare lo sviluppo di quelle americane, lasciando perdere il dito e puntando l’orizzonte.

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