C’era una volta MySpace. Come c’era una volta Altavista. Entrambi leader, entrambi decaduti. Entrambi fermi, entrambi sopraffatti da una nuova ondata di innovazione che ne ha travolte le strutture. Entrambi entrano nei libri di storia come antesignani di settori di grande successo, ma al loro nome verrà attribuito l’infausto epitaffio di chi visse con gloria per morire dimenticato.
Altavista fu il primo grande motore di ricerca, ma la presenza di Yahoo e l’arrivo di Google l’hanno soffiato via con clamorosa facilità. MySpace è stato il primo grande social network. Nel 2007 aveva una quota di mercato pari al 79.70% contro l’11.5% di Facebook, cifre che sembrano giungere da un’era ormai remota. Quando Rupert Murdoch l’ha rilevato, per mesi non ha fatto altro che ricordare quanto proficua fosse stata quella operazione: un progetto che rendeva senza investimento alcuno dopo quello per l’operazione iniziale. Murdoch, il genio dell’editoria televisiva e cartacea, sembrava aver trovato la chiave per far proprio anche il Web. Ma il tempo è stato giudice inflessibile. In breve tempo, infatti, Murdoch ha probabilmente maledetto le proprie parole e la propria decisione di non versare denaro nel progetto nella convinzione per cui si sarebbe pagato da sé. In realtà qualche cinguettìo da una parte ed il progetto del giovane Zuckerberg dall’altra hanno preso a spallate i milioni dello “squalo” (così viene chiamato in gergo il magnate australiano proprietario della News Corp.) per farsi largo ed ora tutto è compiuto: MySpace alza bandiera bianca.
Per Murdoch le sconfitte non esistono: esistono soltanto nuove opportunità. Per questo motivo il suo nuovo progetto è già sull’iPad, ove la News Corp. cerca strumenti di miglior monetizzazione presso cui investire i propri danari. Il Web è infatti un mistero ancora per molti: l’editoria non ha ancora trovato i propri canali espressivi e gli affari sono spesso appannaggio più di chi si fa mediatore che non di chi produce nuovi contenuti. La svolta del The Daily è in questo: in un mercato ove nemmeno l’iPad sembra ancora rivelare all’editoria la fonte magica del successo, Murdoch scommette sulla propria idea e porta denaro e giornalisti sul nuovo progetto. Ma avrà probabilmente successo soltanto se farà tesoro della bandiera bianca issata su MySpace.
Motori di ricerca, portali, social network: tutte le iniziative sul Web si basano su una ricchezza fragile e liquida identificabile nell’utenza, ossia qualcosa che si può conquistare ma non possedere. I progetti che riescono ad attirare e trattenere gli utenti hanno successo, ma il successo di lunga durata è difficile da affermare. MySpace è stato leader finché non è stato l’unico, ma un semplice sito fatto di “poke” e di “mi piace” ne ha scalzata la community svuotando il predecessore di significato in men che non si dica. Facebook ha scoperto la chiave della comunicazione sociale adoperandola meglio di quanto non facesse MySpace e la legge del mercato non ha perdonato: la community si è spostata in massa e Murdoch se ne è rimasto con la sua scatola d’oro vuota e pesante.
C’era una volta MySpace. Come c’era una volta Altavista. Entrambi leader, entrambi sconfitti. Ma dai quali c’è moltissimo da imparare.