Caso FAPAV: il P2P, le diffide e la legge

La sentenza pubblicata a conclusione del caso Fapav vs Telecom Italia chiude ogni porta all'accusa: la procedura di diffida a Telecom Italia non costringe il provider ad alcuna collaborazione. In futuro si dovrà passare tramite l'autorità giudiziaria
Caso FAPAV: il P2P, le diffide e la legge
La sentenza pubblicata a conclusione del caso Fapav vs Telecom Italia chiude ogni porta all'accusa: la procedura di diffida a Telecom Italia non costringe il provider ad alcuna collaborazione. In futuro si dovrà passare tramite l'autorità giudiziaria

Le motivazioni legate alla sentenza del caso FAPAV vs Telecom Italia sono state pubblicate dal Tribunale civile di Roma e chiariscono una volta per tutte un caso che da più parti era stato visto come centrale nel dirimere una questione centrale per il rapporto tra legge e peer-to-peer: chi ha la responsabilità di portare avanti iniziative repressive ai danni degli utenti colpevoli di download di materiale illecito? La questione, sollevata in seguito alla diffida inviata dalla FAPAV a Telecom Italia, si sgonfia all’interno di una sentenza che chiude le porte alle ambizioni del gruppo anti-pirateria: tutto viene riconsegnato, senza margini interpretativi, alle responsabilità dell’autorità giudiziaria.

L’iniziativa della FAPAV era chiaramente irrituale, ma l’obiettivo era probabilmente quello di coinvolgere il provider nelle indagini anti-pirateria costringendolo almeno, sulla base di una presunta responsabilità oggettiva, a consegnare i nomi degli utenti scoperti a scaricare. La FAPAV, tramite procedure investigative che hanno immediatamente sollevato mille dubbi, spiegava di disporre degli IP responsabili e di voler procedere alle denunce facendo leva sullo storico delle connessioni in mano a Telecom. Ma la sentenza non lascia spazio alcuno: la diffida inviata a Telecom non ha alcun valore e qualsiasi procedura di questo tipo deve sempre e comunque essere portata avanti tramite l’autorità preposta.

«Tali provvedimenti per la natura delle violazioni che sono diretti a prevenire o a reprimere sono da ritenere di competenza dell’autorità giudiziaria investita dell’accertamento delle stesse»: secondo quanto ripreso dall’analisi di Guido Scorza, insomma, la diffida è del tutto priva di significato: «Telecom non solo non avrebbe dovuto ma nemmeno avrebbe legittimamente potuto interrompere il servizio, non essendo responsabile delle informazioni trasmesse, ai sensi dell’art. 14, comma 1 ed essendo contrattualmente tenuta alla prestazione». Ad essere bocciata è dunque la procedura in sé, smontando pertanto completamente il caso.

Secondo quanto sottolineato da Repubblica l’unica sbavatura per la difesa Telecom è nel riconoscimento all’interno della sentenza di un dovere confermato: «girare all’autorità giudiziaria le segnalazioni che vengono dai detentori di copyright» in relazione ad eventuali illeciti scoperti. Telecom però non sembra preoccupata: «È solo un obbligo formale, senza reali implicazioni pratiche». Una eventuale nuova iniziativa legale anti-pirateria dovrà però probabilmente ripartire da questa opportunità residua e le prove tecniche di simil-Hadopi finiscono qui.

Il caso si spegne di fronte alla completa bocciatura delle procedure, senza dunque giungere ad alcun approfondimento circa gli indirizzi IP in questione. Ed è un caso che fin dalla prima ora sembrava avere ben poche speranze di riuscita. Secondo Stefano Quintarelli era però questo un quadro della situazione probabilmente previsto: la possibilità, insomma, potrebbe essere quella per cui «abbiano fatto una azione solo per lisciare il pelo agli associati, per dimostrare l’attività, magari a grande richiesta degli stessi…». Tra gli associati alla Federazione Anti Pirateria Audiovisiva, va ricordato, figurano nomi quali Mediaset, Rai, Sky, Agic, Anica, Medusa, Univideo, Walt Disney ed altri ancora.

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