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La rivoluzione musicale degli anni 2000, fatta di brani digitali e player portatili, non è stata gradita da tutti gli artisti. Tra questi, si erge un nostalgico e iracondo Bon Jovi, il quale non ha perso l’occasione di
Bon Jovi, star di grande successo soprattutto a cavallo tra gli anni ’80 e ’90,
"I ragazzi oggi hanno totalmente perso l’esperienza di mettersi le cuffie, alzare il volume al massimo, chiudere la occhi e perdersi in un intero album. E anche la bellezza di spendere i propri soldi decidendo in base alla copertina, senza conoscere lo stile di un album, lanciandosi guidare dalle foto e cercando di immaginarlo".
L’orco che avrebbe distrutto i sogni di milioni di adolescenti sarebbe Steve Jobs, colpevole di aver inventato l’iPod prima, e iTunes poi, portando la musica dal negozio al computer.
"Dio, è stato un tempo magico, davvero magico. Odio mostrarmi come un uomo vecchio, ma le future generazioni diranno "Cosa è successo?". Steve Jobs è personalmente responsabile di aver ucciso l’industria musicale".
Il j’accuse del cantante, tuttavia, appare ampiamente fuori luogo. È vero che Apple ha fortemente contribuito alla digitalizzazione online della musica, ma di certo non ha imposto un nuovo processo di creazione artistica. Anologico o digitale, il musicista ha ancora tutte le possibilità di esprimere la propria arte. Inoltre, iTunes sembra aver favorito, anziché penalizzato, la distribuzione musicale: il numero di download, e di conseguenza il fatturato giornaliero, parlano chiaro. Inoltre la distribuzione via Internet ha spinto molti artisti sconosciuti ai più che, con le modalità del "vecchio e caro negozio" volute da Jovi, non avrebbero mai avuto l’occasione di emergere. Forse l’attacco risponde più a una logica di fisiologica decadenza, non essendo più Bon Jovi un cantante da prima posizione perenne della classifica, che alla constatazione di una verità inconfutabile. Una prova a questa ipotesi? La presenza di tutti i suoi album proprio su iTunes Store.