Blog dipendenti, blog licenziati

Il rapporto tra blog e aziende si sviluppa con grande rapidità, ma stanno ora emergendo importanti distorsioni tali da imporre una riflessione: quali i confini della sfera personale? quali i confini dello spazio lavorativo?
Blog dipendenti, blog licenziati
Il rapporto tra blog e aziende si sviluppa con grande rapidità, ma stanno ora emergendo importanti distorsioni tali da imporre una riflessione: quali i confini della sfera personale? quali i confini dello spazio lavorativo?

Heather Armstrong. È il primo caso conosciuto di licenziamento causa blog. Siccome il blog incriminato prendeva (e prende) il nome di Dooce.com, in breve il neologismo “dooced” ha assunto il significato di «perdere il proprio lavoro a causa del proprio sito web». Joe Gordon. Usa sostantivi decisamente poco simpatici sul proprio blog circa il proprio datore di lavoro (definito «diabolico») e la sua catena di librerie (Waterstone’s deviato a Bastardstone’s). Licenziato in tronco. Mark Jen. Attorno al suo licenziamento è sorto il caso più eclatante anche se il clamore è stato amplificato soprattutto dall’importanza del nome in ballo: “don’t be evil” Google. Jen parla di “shock” ed ammette che, se solo glielo si fosse chiesto, avrebbe chiuso il proprio blog senza problemi. Ellen Simonetti. Licenziata dalla Delta Air Line per aver messo sul suo blog “Queen of Sky” una sua foto in uniforme da lavoro: fastidio per alcune fotografie decisamente opinabili pubblicate sul sito il motivo reale del licenziamento, uso non autorizzato del marchio aziendale (in seguito alla pubblicazione di tali foto) il motivo ufficiale. La lista continua con nomi quali Friendster ed ESPN, Houston Chronicle ed NBA. I fatti si riassumono in un qualche post giudicato scomodo dai datori di lavoro, nel non-anominato del blog e nella incontrovertibile decisione finale dei vertici aziendali. I blog-enthusiastic hanno gridato allo scandalo mentre chi ne è fuori ha perlopiù difeso l’adozione di un provvedimento ritenuto assolutamente normale in qualsivoglia altro contesto.

ll blog è uno di quei classici rigurgiti tecnologici dai quali nasce un medium che va a infilarsi esattamente a metà tra altri medium pre-esistenti. Così facendo il nuovo mezzo cerca di farsi largo per occupare il proprio spazio, ma ne consegue inevitabilmente qualche disordine, qualche distorsione, qualche rottura. È il normale riequilibrarsi del sistema, è il normale fluire degli eventi che da sempre permea ogni nuovo ritrovato tecnologico. La prima prorompente distorsione emersa ha riguardato il rapporto tra blog e giornalismo, blogger e giornalisti. La piaga non è certo rimarginata, ma dalla cronaca quotidiana emerge ora un nuovo importante profilo della crepa: il rapporto tra il blog e l’ambiente di lavoro.

L’unica grande realtà emergente è la confusione dei termini, l’incomprensione che genera incompatibilità, la rottura. Ne emerge un certo parallelismo con il contrasto blog-giornalismo: quando il blog è giornalismo e quando il giornalismo finisce per lasciare spazio al blog? Come deve comportarsi il giornalista-blogger rispetto al proprio lavoro? Una prima riflessione prende spunto dalle parole di De Kerchove, l’erede putativo del noto Marshall McLuhan, secondo il quale “la rete modifica la nostra tradizionale identità, determina un nuovo sé fluido e connesso” (lo stesso McLuhan avrebbe molto da dire circa i blog ed il suo concetto di “villaggio globale”): nessuna categorizzazione, dunque, ma una identità fluida ove spazio lavorativo e sfera personale costituiscono un corpo unico, intrinsecamente legato, “liquido”, senza divisioni. Nel momento in cui il mondo del lavoro ragiona e funziona in un’ottica diversa, però, ecco lo scontro, le incomprensioni, ed infine la punta dell’iceberg che emerge prorompente nei titoli delle ultime settimane: “Hired”, licenziato.

I blog e le aziende hanno ormai stabilito una molteplicità di contatti che sotto varia forma evidenziano comunque un feeling che supera la normale co-esistenza. Il blog, nelle sue espressioni più raffinate, è cosa importante e le aziende lo hanno capito: il blog può servire, purché sia sotto controllo. Le forme sotto cui questo rapporto si sta, volenti o dolenti, sviluppando sono fondamentalmente le seguenti (non si intende fornire una categorizzazione esauriente, quanto piuttosto offrire una sezione del problema per evidenziarne quantomeno il profilo):

  • Blog aziendale
    In questa macrocategoria è ascrivibile un blog quale quello di F-Secure (ove il team del gruppo antivirus aggiorna l’utenza su tutto il corollario delle notizie inserite nel sito principale); si può citare il blog ufficiale di Google (ove il team anticipa alcune delle novità, pur rimanendo nell’ambito dell’ufficialità); si può annoverare il sito della Lancia Y (ove il blog riporta racconti di vacanze e serate, il tutto in “stile” ed all’insegna della nuova Lancia Y); si può includere il blog Bacardi (ove il blog è puro mezzo promozionale, tentativo di creare uno stile tramite la simulazione di uno specifico contesto tecnico-letterario);
  • Blog personale (di dipendenti)Con sempre maggior frequenza le anticipazioni di grandi gruppi quali Microsoft o Google giungono non tanto dai canali ufficiali, quanto piuttosto dai blog personali dei dipendenti dell’azienda. Difficile stabilire quanto talune confessioni siano spontanee, suggerite, stimolate o imposte. Rimane l’importanza dello strumento, la capacità di scatenare rumor o veri e propri vespai sfruttando il canale non ufficiale di un blog ufficialmente non legato all’azienda. È soprattutto sotto questa categoria che sorgono i principali problemi: quando il blog personale va contro le direttive aziendali scatta lo scontro. In questa categoria si può annoverare ad esempio l’originale blog aziendale di Bob Lutz, vice presidente della General Motors: chissà se un giorno anche John Elkann, vicepresidente del principale gruppo automobilistico italiano, aprirà un suo FIATblog.

La seconda riflessione prende origine dal punto di vista espresso dal filosofo Ugo Volli, professore di Semiotica del testo e direttore del CIRC (Centro Interdipartimentale di Ricerca sulla Comunicazione) presso l’Università degli Studi di Torino. Volli, interrogato da HTML.IT in proposito del cambiamento dei rapporti tra sfera personale e sfera lavorativa, sottolinea: “Credo che i blog siano effetti e non cause di un mutamento che c’è da tempo: il lavoro, da luogo di realizzazione che era è sempre più percepito come un semplice vincolo, che va integrato il più possibile con il valore vero del nostro tempo, il divertimento. Come dice una pubblicità affissa in giro in questi giorni, se il tempo è denaro, il tempo libero è oro puro”. In quest’ottica risulta condannato il blogger vittima del licenziamento perché, nel suo tentativo di integrare mondi attualmente non integrabili, ha confuso alcuni confini invalicabili pagandone, quasi in coscienza, le conseguenze. La sensazione è che la figura del blogger stia semplicemente cavalcando una piccola rivoluzione che prescinde dalla fenomenologia blog e, come sempre in certi casi, qualche vittima debba rimanere sul campo di battaglia.

Il punto di vista opposto difende il blog come inalienabile appendice della sfera personale: in tal caso l’invasione è compiuta dall’azienda la quale, applicando un provvedimento tipico dello spazio lavorativo per un comportamento compiuto esternamente a tale spazio, compie oltraggio e tracotanza. Confusione di spazi, confusione di competenze, confusione di ruoli. Altra, ulteriore, ennesima, distorsione. Oppure semplicemente l’altro lato della stessa medaglia.

Non si vuole stilare una lista di innocenti né una di colpevoli; non si vuole smorzare l’entusiasmo blogger né difenderne le posizioni senza una minima riflessione preventiva; non si vuole risaltare un problema probabilmente passeggero come passeggera è la fase di transizione che porterà i blog ad una dimensione di concreta stabilità, né tantomeno si vuole però tacere circa una serie di episodi sui quali il silenzio produrrebbe solo ulteriori distorsioni. Semplicemente si vuol porre un interrogativo e stimolare l’approfondimento del dibattito, suggerendo flebilmente una possibile impostazione. Fermare la discussione ai singoli casi (più o meno eclatanti) piuttosto che analizzare il movimento generale significherebbe comportarsi come quel famoso stolto che, nel momento in cui con il dito gli viene indicata la luna, invece della luna guarda il dito.

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