Ben Edelman: Google favorisce i propri servizi

Google, così come gli altri motori di ricerca, tende a favorire nei risultati i propri stessi servizi. Con pesanti ricadute che l'antitrust potrebbe punire
Ben Edelman: Google favorisce i propri servizi
Google, così come gli altri motori di ricerca, tende a favorire nei risultati i propri stessi servizi. Con pesanti ricadute che l'antitrust potrebbe punire

Ben Edelman, nome altisonante e di valore riconosciuto per il proprio lavoro di indagine sulle dinamiche della Rete, ha condotto una importante ricerca sui risultati che compaiono su motori quali Google, Yahoo e Bing. Ne esce un quadro nel quale è evidente come ogni motore tiri acqua al proprio mulino, ma da questa situazione Google ne esce peggio di altri per il semplice motivo per cui ha in mano una posizione di largo controllo sul settore e ciò potrebbe trascinare il gruppo in acque pericolose dal punto di vista legale. La Commissione Europea, impegnata in queste settimane ad approfondire proprio questa questione, non potrà non tenere in considerazione l’indagine di Ben Edelman e Benjamin Lockwood poiché il metodo condotto avvalora la bontà dei risultati e la loro incidenza sul mercato.

Autofavoritismi

La ricerca di Edelman prevede semplici ricerche sul Web tramite i diversi motori e su specifiche query per annotare quali risultati comparissero per primi sui vari algoritmi. La ricerca per il termine “email”, ad esempio, mette Gmail al primo posto su Google e Yahoo Mail al primo posto su Bing e Yahoo; la ricerca per il termine “maps” mette Google Maps al primo posto su Google e Bing, mentre su Yahoo compaiono le Yahoo Maps. La sistematicità della raccolta dati porta ad un risultato generale rilevante: ogni singolo motore di ricerca tende a posizionare i servizi del gruppo di appartenenza ai primi posti nel proprio ranking, per il quale si promette all’utenza massima ricerca qualitativa dei risultati. Se tutti ricercano la massima qualità, però, evidentemente i conti non tornano: perchè risultati tanto divergenti?

Così i motori di ricerca favoriscono i propri stessi servizi

Così i motori di ricerca favoriscono i propri stessi servizi

L’abitudine, va detto, è pressoché comune: Yahoo e Bing denotano un fattore di autopromozione del tutto simile, con Yahoo ad accentuare la tendenza sulla prima posizione e Google ad accontentarsi del podio sulle SERP. Cambiano i fattori, ma il risultato non cambia. Cambia però il moltiplicatore, perché Google ha in mano più del 60% del mercato. Cambiano, pertanto, le conseguenze.

A tutto ciò occorre inoltre aggiungere come spesso proprio Google utilizzi i propri box dedicati per portare ai primi posti delle SERP spazi ad hoc con le risposte integrate. Ne è un esempio la ricerca per “AAPL“, ove il primo risultato è sì relativo alle azioni Apple, ma compreso all’interno di un box di Google Finance. Stesso ragionamento vale per le ricerche geolocalizzate, che Google integra all’interno delle proprie mappe trattenendo così ulteriormente l’utenza. Ed è questo uno degli aspetti presi maggiormente in esame dalla denuncia che ha portato le autorità europee ad aprire la propria indagine sul comportamento del motore di Larry Page e Sergey Brin.

Non c’è meritocrazia

Ben Edelman non vuol lasciare spazio a margini interpretativi e smonta anche una teoria alternativa: e se gli utenti preferissero i servizi del gruppo per una sorta di fedeltà al brand? L’ipotesi è quella per cui un utente Google preferirà Google Maps a Yahoo Maps per una semplice scelta di campo, spingendo così il motore a portare in rilievo i propri risultati sulla scia delle scelte dell’utenza. Secondo Edelman, però, il teorema non regge: l’analisi del click-through-rate sui link presenti nelle prime pagine dei risultati  dimostra come in molti casi i risultati successivi ai primi ottengono molti più click, sintomo di maggiore interesse relativo da parte degli utenti nei confronti dei risultati che il motore considera invece meno rilevanti.

Ciò significa che i risultati in vetta alle SERP non sono frutto di algoritmo meritocratico, ma semplice scelta strategica ed autopromozionale. Un esempio su tutti: la ricerca di “email” su Google mostra Gmail al primo posto, ma in realtà la maggior parte dei click va sul successivo Yahoo Mail: non solo Gmail attira la metà dei click, ma ne raccoglie anche la terza parte rispetto a quanto raccoglie in media un risultato in prima posizione.

Google, l’ammissione che non lo era

Ben Edelman ricorda come Google sia l’unico motore che, pubblicamente ed all’interno della propria filosofia di servizio, promette risultati oggettivi, non manipolati e generati automaticamente da algoritmi che si intendono neutrali. Al tempo stesso, però, Edelman ricorda come nel 2007 Marissa Mayer ammise la scelta di Google di inserire i propri servizi ai primi posti, smentendo così nei fatti quanto pubblicamente asserito all’interno delle 10 “promesse” relative al search di Mountain View:

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=LT1UFZSbcxE#t=44m50s[/youtube]

Le parole della Mayer, in congiunzione con le dimostrazioni statistiche di Edelman, appaiono come una “pistola fumante” in grado di dimostrare come gli algoritmi non siano del tutto neutrali. Anzi.

In conclusione

La ricerca non è priva di problemi e margini di miglioramento. Danny Sullivan ne ha proposti alcuni sul blog Search Engine Land, ma a buona approssimazione l’architettura della ricerca appare comunque solida.

Edelman è infatti chiaro nella propria chiosa. Si ricorda come negli anni passati il DOJ sia intervenuto in altri settori per evitare che trattamenti di favore potessero portare scompensi anti-concorrenziali sul mercato ed oggi il medesimo principio andrebbe applicato anche sui motori di ricerca. In tal senso la Commissione Europea ha un’occasione d’oro per portare avanti tale battaglia per prima:

Il mese scorso la Commissione Europea ha annunciato un’indagine sui risultati parziali in Google, includendovi il posizionamento preferenziale dei servizi della stessa Google. […] Le nostre analisi suggeriscono che le investigazioni della Commissione Europea riveleranno che Google ha intenzionalmente messo per primi i propri link.

Se così fosse, l’antitrust avrebbe qualcosa di serio da obiettare sul comportamento di Google ed i precedenti Microsoft lasciano presagire una serrata lotta legale destinata a determinare non poche ricadute sul modo in cui le SERP sono composte.

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