Di “Anonymous” avevano soltanto l’appellativo. A pochi giorni dagli attacchi DDoS che hanno caratterizzato la vicenda Wikileaks, infatti, alcuni dei responsabili del movimento sono stati tratti in arresto dopo aver involontariamente firmato gli atti ostili di cui si son resi protagonisti. Per gli inquirenti il lavoro è stato relativamente semplice e l’intero progetto ne esce con minor credibilità.
Il primo a cadere tra le mani delle autorità è stato Alex Tapanaris. Il suo è un errore di clamorosa ingenuità: il nome è infatti spuntato fuori all’apertura di un documento ufficiale rilasciato dagli Anonymous per la stampa. La semplice apertura del file pdf mostrava il nome “Alex Tapanaris” come autore del file: poche ore più tardi il suo sito Web è scomparso e si è presto avuta segnalazione dell’arresto del ragazzo.
Altri due ragazzi sono inoltre stati fermati in Olanda a seguito di un dimostrato coinvolgimento diretto nella preparazione degli attacchi DDoS. Del primo, un 16enne di The Hague, si è saputo nei giorni scorsi; il secondo è il 19enne Martijn Gonlag di Hoogezand-Sappemeer. Entrambi avrebbero lasciato traccia del proprio lavoro direttamente all’interno del software Low Orbit Ion Cannon (LOIC), lo strumento che consentiva la partecipazione ai DDoS da parte degli attivisti pro-Wikileaks pronti ad appoggiare la causa mettendosi a disposizione in qualità di “zombie” volontari.
A cadere tra le mani degli inquirenti sono stati tre elementi che non hanno saputo mantenere realmente anonima la propria identità, il che è un po’ come scherzare con il fuoco dopo quanto successo con Wikileaks e gli attacchi successivi ai siti Mastercard, Visa, Amazon e PayPal. L’Operazione Payback potrebbe uscirne ora con le armi spuntate più che altro per i timori che tali arresti potrebbero generare nella base di anonimi volontari pronti a spalleggiare i DDoS.