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«We found love in a costless place»: se ci fosse una canzone, così sarebbe descritto l’ideale epilogo per la singolare vicenda che vede coinvolte le autorità australiane, Apple e Rihanna nell’ennesima bagarre giudiziaria in quel della terra dei canguri. Sì, perché nella prima udienza conoscitiva per capire i motivi del sovrapprezzo di quasi il 50% dei contenuti digitali distribuiti in Australia rispetto al resto del mondo,
La vicenda trova le sua nascita qualche settimana fa, quando il Parlamento australiano ha richiesto a diverse società internazionali – Apple,
Nella prima udienza conoscitiva con le commissioni parlamentari ha preso parola Tony King, il vicepresidente di Apple Australia, Nuova Zelanda e Asia del Sud. Il dirigente ha sottolineato come i prezzi finali dei contenuti digitali vengano decisi dai creatori stessi, mentre la Mela in tutto il mondo applica la sua politica di revenue sharing al 30%:
«La tariffa dei contenuti digitali si basa sui prezzi all’ingrosso, determinati da negoziazioni con le case discografiche, gli studi cinematografici e i network televisivi. L’industria dei contenuti fa ancora affidamento sulle antiquate nozioni di confini nazionali, territoriali e dei mercati.»
E perché c’entra Rihanna in tutto questo? A chiamare in causa la cantante di Diamonds ci pensa Billboard, prendendola come esempio per i prezzi maggiorati australiani. Il colosso delle classifiche sottolinea come Unapologetic, l’ultimo album della popstar, costi 23,98 dollari statunitensi sull’iTunes Store australiano, circa il 49% in più rispetto al resto del mondo (12,99 euro per la versione deluxe sullo store italiano). E così tuona Matthew Rimmer, professore associato dell’Università di Camberra:
«C’è stata una discriminazione di prezzo ai danni dei consumatori australiani. Se la distribuzione è digitale, perché i prezzi sono più alti?.»
Già, perché? Difficile che la stessa Rihanna possa rispondere alla domanda, vittima inconsapevole della battaglia.